NUOVO TRATTATO GENERALE DEI PESCI E DEI CRISTIANI di Mario Genco
collana Consensi
isbn 978-88-6282-112-4
SECONDA EDIZIONE AMPLIATA
Il nuovo trattato generale dei Pesci e dei Cristiani di mario Genco raccoglie curiosità e leggende. I pesci si sa non hanno parola, ma parlano in altro modo. I pescatori sono laconici, poche parole, pesate e soppesate, e sguardi lunghi. Mario Genco, ez caporedattore de L’Ora e del Giornale di Sicilia, è mezzo marinaio e avrebbe voluto essere pesce, tutto a sguazzare in qualche mare di Marettimo, suo eden trovato in un mondo perso. Lì ha vissuto sprazzi di vita godendo della zsaggezza dei lupi di mare e condividendo la interminabile ore dell’attesa, dell’ozio, del lavoro della canicola. Abitava in una casa di pescatori veri, in un posto dove figli, padri, nonni, bisnonni e così via a ritroso fino alla notte dei tempi, sono stati tutti impelagati col mare.Ci andava ogni estate e poi ogni tanto nei mesi scuri, a fare il pieno di luce e di energia. Fin dai tempi in cui non esistevano i satelliti e l’orientamento tra le onde sterminate era una cosa complicata. Quando le previsioni metereologiche erano più che altro affidate all’esperienza accumulata. Quando i vissuti erano un’enciclopedia che conduce per mano per scansare le insidie tra correnti e tempeste. Quando ogni pietra della costa e ogni scoglio erano un intreccio di coordinate cartesiane indispensabili per orientarsi in quello spazio infinito tra cielo e mare.Tutto quello che Genco ha imparato in diretta (e tutto ciò che ha letto su quel che accade sopra e sotto le onde) lo ha scritto nel Nuovo trattato generale dei pesci e dei cristiani (Prova d’Autore, pagg. 158, Euro 15,00) seconda edizione ampliata di una cinquantina di pagine del volume uscito dieci anni fa. È una sorta di romanzo corale in cui decine di coprotagonisti raccontano storie a reggere le fila l’autore che di tanto in tanto fa capolino in questa epopea azzurra.Nelle pagine sfila un campionario unico di umanità marinara con sullo sfondo l’eterna guerra per la sopravvivenza tra pesce e pesce e tra pesci e uomini. Il mare, uno sterminato campo di battaglia che nemmeno a Natale conosce un giorno di pace, un luogo dove la bellezza si impasta con la fatica, la paura con l’eccitazione della sfida. No, il mare dei bagnanti è un’altra cosa. Qui il mare è un infinito spazio in cui collocare leggende e preghiere, con la tragedia sempre incombente. Sono tante le curiosità che scorrono in questa sorta di zibaldone. L’autore spesso ci spiazza saltando di palo in frasca, ma ci regala una miniera di curiosità e ci fa condividere intense emozioni con i protagonisti. Il mare come passione, il mare come ossessione. Quella passione ti porta a rincorrere le onde in tutto il mondo fino a Nantucket un’isola del Massachussets da cui partono le baleniere per il Pacifico, tante Pequod in rada con tanti capitani Achab che prima di avviarsi per il lungo viaggio a caccia di cetacei si fanno l’ultima bevuta sulla terraferma. Genco da lì è tornato con un ricchissimo album di fotografie. Le più suggestive, i murales dei visitatori e dei pescatori che prima di congedarsi dalla terraferma danno sfoto alla loro creatività. Quella stessa passione che ti spinge a scrivere un libro su “I Pirandello del mare”, partendo da una labile traccia rinvenuta in archivio, sui tanti famigliari dello scrittore (che invece il mare lo odiava) di mestiere navigatori. Ma andiamo al libro. I nomi della costa, in dialetto stretto, dei luoghi interni, dei pesci e i soprannomi degli isolani, sono un campionario di creatività, accumulato nei secoli. “I nomi di razza vecchia – scrive Genco – sanno di terra che arrivarono dai paesi del Regno, coloni mezzo coatti e mezzo pionieri messi lì dal re borbone a salare le sarde, qualcuno a dimenticare e a farsi dimenticare. Secoli e secoli di pescatoria non hanno potuto tramutare quei nomi nati interazzati. Campo e nome di mezzo paese”. Torrente, Poliseri, Spadaro, Carriglio, Majorana, Boccoli. E le ‘ngiurie che spesso originano da difetti fisici, da aspetti caratteristici o da attinenze marinare: Ntilicchia, Gambed’agghiu, Cinquesoldi, Mezzalira, Ogghiucottu, Fanfaruneddu, Scurmu, Scalmutorto, Nacchi, Opo e così via. “Lingua e dialetti marini – scrive Genco – combaciano spesso, s’intendono sempre, sono nate insieme sul mare e sul vento, parole e bastimenti, gesti, attrezzature e manovre, stessa chiamata d’imbarco, e non c’è stato bisogno di cambiare. Netta ogni parole e necessaria, ciascuna è un nome proprio. Sulle navi e sui porti c’è il cordame ma una corda a bordo ha almeno settanta parole diverse che ne precisano funzione e impiego, e nessuna di esse è corda”.Un capitolo l’autore lo dedica allo scrittore inglese Samuel Butler che sbarca a Maritimo, Marettimo, nel 1894, la notte della festa della Madonna di Trapani. Poi tre giorni a caccia di riscontri che confermassero la sua ipotesi che l’Odissea fosse stata scritta da una poetessa, che per lui doveva per forza essere una trapanese di “lignaggio alto”.Il libro è pieno di squarci di antica vita marinara, quando i turchi rapaci rapivano le ragazze. “Quei tempi che io li chiamo tempi primitivi – racconta un vecchio pescatore – sono contento di esserci stato e che prima di me c’era stato mio padre e che me li raccontava. Io ero curioso, chiedevo e mio padre era stato curioso per ciò sapeva la sorella di sua nonna che se l’erano presa i turchi. In Turchia se ne sentì parlare. Faceva la schiava o comunque s’era accasata, ci dev’essere una parentela turca da qualche parte”.L’Autore è abbacinato da qualsiasi notizia riguardante il mare e ne ha raccolto alcune sul finire dell’Ottocento e nei primi del Novecento, davvero curiose, a chiusura del suo Trattato. Un obolo di quindici centesimi a persona per vedere un pesce mostruoso in mostra in via Chiavettieri; il pesciolino omicida che entrando nella laringe provoca il soffocamento di un pescatore diciottenne al largo di Terrasini; la foca bue marino, pescata nel porto di Trapani e un enorme capodoglio, rimasto impigliato in una rete, ucciso a colpi di scure a Lipari. E altre ancora.Genco che parteggia sfacciatamente per i pescatori (“e i pesci che devono morire di vecchiaia?” irride a chi vorrebbe imbalsamare la natura) si schiera però contro la mattanza, o almeno quel che di irreale è diventata: una messinscena a uso e consumo dei turisti. Pratiche che con la pesca nulla ha a che fare.Tano Gullo. (Cfr.la Repubblica 11 luglio 2013)
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