VANNUZZU di Giancarlo Poidomani
collana Nuove Tressule
978-88-6282-173-5
romanzo biografico
UNA STORIA DI VITA DI GUERRA E DI PRIGIONIA
Alessandro Centonze“VANNUZZU” DI GIANCARLO POIDOMANI: L’INCONTRO DELLA GRANDE STORIA CON LA VITA DI UN UOMO SEMPLICE IN UNO STRAORDINARIO AFFRESCO SICILIANO Giancarlo Poidomani è uno storico importante che insegna storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania. Nell’ultimo ventennio, Giancarlo Poidomani ha compiuto ricerche storiche di grande rilievo scientifico, occupandosi di studiare i temi della costruzione dello Stato italiano a partire dall’unificazione sabauda e dedicando una particolare attenzione al territorio siciliano, anche forte delle sue, orgogliosamente rivendicate, origini modicane. A questo proposito, non si possono non ricordare, solo per citare le sue opere più significative, i suoi studi monografici intitolati “Le opere pie in Sicilia. Alle origini dello Stato sociale” del 2005; “Fare l’Italia. Destra e Sinistra (1861-1887)” del 2012; “Senza la Sicilia l’Italia non è nazione. La destra storica e la costruzione dello Stato (1861-1876)” del 2009; “La Repubblica a Mezzogiorno. Gruppi dirigenti e potere locale in provincia di Ragusa (1953-1960)” del 2013. Ho ritenuto necessario fare riferimento all’esperienza di storico contemporaneo di Giancarlo Poidomani, perché la sua pregressa attività di ricerca è indispensabile per comprendere la sua ultima, splendida, fatica editoriale, intitolata “Vannuzzu. Una storia di vita, di guerra e di prigionia”, appena pubblicata presso la Casa editrice Prova d’Autore di Catania, perché con quest’opera il nostro Autore ci consegna una storia, appassionante ed emozionante, nella quale la grande storia del ventesimo secolo si incontra con la vita di un uomo semplice ma straordinariamente perbene: suo nonno Giovanni Poidomani, detto “Vannuzzu”.Con il suo “Vannuzzu” Giancarlo Poidomani riesce a realizzare un’operazione intellettuale non semplice, nella quale si intersecano due piani diversi, quello familiare e quello storico, nel quale ultimo, a sua volta, si inserisce quello che potremo definire un filone narrativo parallelo – rappresentato dalla ricostruzione dell’ambiente modicano in cui il protagonista del racconto, fatta eccezione per il lungo periodo della prigionia (1942-1946), ha sempre vissuto – che funge da collante all’intera narrazione, disvelando al contempo l’amore del nostro Autore per la sua Modica. Il racconto si sviluppa in tre parti narrative, sulle quali occorre soffermarsi separatamente. La prima parte della narrazione racconta della nascita di Giovanni Poidomani, avvenuta in una Modica quasi irriconoscibile ai nostri occhi nel 1912 e prosegue, attraverso il matrimonio con la moglie Maria Minardo, celebrato nel 1936, fino al 1940, quando il protagonista viene richiamato alle armi, nonostante i suoi due figli e l’imminente arrivo di un terzo figlio, per essere spedito, dopo un breve addestramento sul fronte africano. Questa prima parte del racconto descrive la vita difficile del protagonista, un muratore che rimane orfano del proprio genitore in tenerissima età, che affronta le difficoltà quotidiane di una Sicilia ostile ai ceti più poveri, tanto è vero che Vannuzzu, tra i 14 e i 15 anni, andava ad abitare da solo, in una casa ubicata in uno dei tre quartieri della sua città, Modica Alta, al quale il nostro protagonista, ma anche Giancarlo Poidomani, rimane sempre legato, affettivamente e abitativamente.Le difficoltà del vivere quotidiano di Vannuzzu vengono spezzate dal servizio militare svolto a Pola, cui si deve la bellissima fotografia della copertina del romanzo pubblicato da Prova d’Autore, che costituiva per il nostro protagonista, come per tanti altri siciliani della sua generazione, un’importante occasione di formazione e di “italianizzazione”. Dice l’Autore a pagina 23: «A scandire la vita degli uomini, oltre al succedersi delle stagioni, tipico del mondo rurale, era ormai anche la «classe» di leva. Il servizio militare era vissuto come un momento di ingresso nella comunità maschile adulta e come una occasione di uscire dalla piccola patria individuale». Questa parte del romanzo mostra echi letterari sommersi ma evidenti, in parte legati a Vincenzo Rabito – dal quale lo separa la straordinaria cultura del nostro Autore – e in parte legati a Carlo Levi, che consentono al lettore di comprendere la vita difficile di un operaio modicano della prima metà del secolo scorso, oggi quasi sconosciuta alle nuove generazioni, che Vannuzzu affronta con grande dignità, grazie al prezioso contributo della moglie, vera e propria coprotagonista della narrazione. La secondo parte del racconto riguarda la prigionia patita da Vannuzzu dopo la sua cattura conseguente alla battaglia di Tobrk del 21-22 gennaio 1941; prigionia svoltasi per una parte, fino all’inizio del 1944, in territorio africano, dapprima ad Alessandria d’Egitto e successivamente a Zonderwater in Sudafrica; per una parte, in Gran Bretagna, a Bury, nel Lancashire, dove Vannuzzu rimarrà detenuto fino al 1946.Questa parte centrale del romanzo di Giancarlo Poidomani tratta distintamente la prigionia africana da quella inglese, affrontate nel secondo e nel terzo capitolo; distinzione che, come ci spiega l’Autore, si rendeva necessaria, attesa la diversità delle condizioni di prigionia patite da Vannuzzu nei due periodi, parallelamente all’evolversi del conflitto bellico nel quale la nostra nazione risultava tragicamente coinvolta. La parte centrale di questa narrazione è un vero e proprio capolavoro e rivela l’eccezionale valore di ricercatore di Giancarlo Poidomani, il quale riesce a ricostruire le condizioni di prigionia del nonno senza utilizzare i suoi racconti – essendo il progenitore restio, come tutti i prigionieri di guerra, a parlare di questa sua tragica esperienza personale – attraverso i documenti storici lungamente cercati e attentamente esaminati dall’Autore. In questo modo, il racconto ci descrive in modo accurato le condizioni detentive patite da Vannuzzu in questi interminabili sei anni, fornendoci un ulteriore spaccato della vita del suo congiunto, nel più ampio scenario della disfatta bellica che precedeva la sua cattura dopo la battaglia di Tobruk; disfatta bellica causata dall’impreparazione dell’esercito italiano, ricostruita con grande accuratezza dall’Autore che si sofferma diffusamente su tali profili nelle pagine 28-37 del suo splendido racconto.Nonostante il rigore scientifico impiegato da Giancarlo Poidomani per ricostruire questa frazione misconosciuta della vita del nonno, non mancano momenti descrittivi che commuovono il lettore – come nel memorabile prologo del terzo capitolo, contenuto a pagina 38 – immergendolo in un’atmosfera di drammaticità che sembra avere accompagnato Vannuzzu per tutta la prima parte della sua prigionia, accompagnata da una sete inesauribile, il cui ricordo, analogo a quello del freddo dei reduci della campagna russa, non avrebbe mai lasciato, per il resto della sua vita, il nostro protagonista. Di questa sete inesauribile l’Autore ne parla con toni zavattiniani, dicendo: «A mia nonna e a mia mamma la sete di mio nonno nel deserto è rimasta impressa ed era una delle cose che mi raccontavano più spesso quando, a distanza di anni dalla scomparsa di mio nonno, chiedevo notizie di seconda mano della sua esperienza di prigionia. Evidentemente era la cosa che raccontava sempre a moglie e figli per sottolineare le sofferenze patite, soprattutto nella prima fase della prigionia in Africa». La terza parte del racconto racconta il reinserimento di Vannuzzu nel tessuto sociale modicano già cambiato dal disastro bellico italiano e, di lì a poco, in procinto di cambiamenti ancora maggiori, in concomitanza con la nascita dello Stato repubblicano, sui quali Giancarlo Poidomani si sofferma con l’accuratezza di uno storico di vaglia, senza mai dimenticare il filo conduttore del suo racconto, rappresentato dalla vita di suo nonno. Vannuzzu, dunque, arriva in una Modica già diversa da quella che aveva lasciato, il cui cambiamento viene descritto con impareggiabile maestria storico-narrativa da Giancarlo Poidomani, che ricostruisce lo scenario politico e professionale nel quale il nonno si trovava a operare nel secondo dopoguerra, miscelando la storia della sua città – fatta di lotte sindacali e politiche che sembrano appartenere a un tempo lontanissimo, ma che distano da noi di appena un cinquantennio – con quella della famiglia del proprio congiunto che, come il resto del ceto operaio siciliano, esce dalle condizioni di disagio economico in cui era vissuto per approdare a un benessere sempre crescente. Nel frattempo, in parallelo allo sviluppo democratico del Paese e della città del nostro Autore – ricostruito attraverso il richiamo a memorabili figure politiche modicane come Virgilio Failla ed Emanuele Gurrieri – la famiglia di Vannuzzu migliora le sue condizioni di vita, aprendo, grazie all’intraprendenza della moglie del protagonista, una merceria in corso Vittorio Emanuele a Modica, di cui, in appendice, troviamo ritratto uno scorcio suggestivo nella fotografia n. 11, che ritrae i coniugi Poidomani e la figlia Lucia. In questo contesto, più che la ricostruzione degli avvenimenti storici e politici modicani, che pure Giancarlo Poidomani descrive in modo incomparabile, mi piace richiamare uno dei passaggi decisivi dell’esistenza di Vannuzzu, costituito dall’acquisto di un piccolo appezzamento di terreno nella meravigliosa campagna modicana, che suggella il definitivo superamento delle difficoltà del vivere quotidiano degli operai siciliani e, probabilmente, il coronamento di un sogno personale del nostro protagonista, rispetto al quale l’Autore, con pudore, si limita a tratteggiare il contesto nel quale maturava tale compravendita. Quanti hanno ricordi dell’attaccamento alla propria campagna dei nostri nonni – io sono nato alla fine degli sessanta e ho di tale attaccamento un ricordo ancora nitido – non possono non commuoversi di fronte a questo passaggio della vita del nostro protagonista, quasi verghiano, così descritto a pagina 79 da Giancarlo Poidomani: «Qualche anno dopo verrà a sapere di due tumuli di terreno in vendita in contrada Barato. Appartiene a Natale Armenia, muratore come lui. Ma ci vogliono tre milioni e mezzo di lire e a mio nonno (sempre restio a fare debiti) sembrano tanti. Ancora una volta (come per la casa di Corso Vittorio Emanuele) sarà mia nonna, questa volta spalleggiata da mio padre, a prendere la decisione e il compromesso verrà firmato nel febbraio del 1974». Di questo benessere Vannuzzu, purtroppo, non avrebbe goduto a lungo, morendo a causa di un ictus il 18 agosto del 1977, dopo essersi sentito male il 12 agosto dello stesso anno. La conclusione della vita di Vannuzzu costituisce un ricordo indelebile di Giancarlo Poidomani, così descritto, con la delicatezza umana a cui ci si abitua nel corso dell’opera, dall’Autore: «Infine, mi ricordo quando si sentì male, il 12 agosto del 1977, e qualcuno (forse mia madre) mi disse di chiamare dall’altra parte della casa qualcun altro (forse mio padre) perché il nonno si era sentito male. Arrivò l’ambulanza e lo portarono all’ospedale. Aveva avuto un ictus, una trombosi, come si diceva allora». Consiglio a tutti i lettori di immergersi nella lettura di quest’opera davvero straordinaria, dalla quale rimarranno appassionati, come sempre più raramente accade di fronte a un’opera letteraria.
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