Un amico tedesco di nostra antica frequentazione, di passaggio a Catania per un suo Reise in Sicilia puntualmente integrativo rispetto a quello settecentesco del suo celebratissimo connazionale, si sforzava a spiegarci come e perché Goethe, appunto, se fosse passato nei giorni attuali dagli stessi luoghi di quella volta, non avrebbe scritto altro che le medesime cose che troviamo annotate nelle pagine di Sizilien, datate tra il due aprile e il 14 maggio 1787, infatti lampedusianamente tutto è cambiato in Sicilia rimanendo come era prima. Al contrario dei disegni di Cristofer Heinrich Kniep, che sarebbero stati totalmente diversi, anche quelli dedicati a riprodurre schizzi di montagne o marine. Per non dire a quali linee e colori avrebbe dovuto ricorrere il mite paesaggista, al momento di ricreare tra obbrobrio, stupore e scandalo, le criminali esposizioni di frutta e verdura in mostra nelle strade ad assorbire gli spurghi cancerogeni delle diecine di migliaia di auto in caotico transito quotidiano accostato a quanto destinata all’ordinario consumo della popolazione cieca, sorda e muta nei confronti dell’ordinamento sanitario regionale, provinciale e comunale. Lo abbiamo ascoltato ma anche noi senza rispondere o obiettare.
Questo nostro amico non era alla sua prima visita dei luoghi siciliani che furono cari a Goethe. Negli anni Novanta era addirittura tornato per due volte nel breve arco di dodici mesi, insistendo sulle tracce del suo antenato illustre, testimoniate nelle pagine di Sizilien. Per le prime due volte aveva scelto la nave da Napoli a Palermo, con l’intento di confrontare le proprie emozioni con quelle che potevano essere state dell’autore di Italienische Reise. Dopo quelle due prime si era convertito al vantaggio di potere giungere in volo. E aveva preferito lo scalo di Catania.
È stato nel 1999, l’anno in cui ci siamo conosciuti per caso. Ci eravamo imbarcati sullo stesso volo ed eravamo capitati accanto nei posti che ci aveva assegnato il computer della Lufthansa. Da Dresda a Milano una provvidenziale occasione per esorcizzare nostre insopprimibili ansie puntualmente fastidiose nelle ore di volo. Il nostro vicino, infatti, da ottimo conoscitore del nostro vocabolario nazionale di conversazione, ci ha deliziato con le descrizioni delle sue precedenti gite in Sicilia e delle suggestioni che continuavano a stimolargliene nuove.
- Da quella volta ci siamo incontrati a Catania in altre cinque o sei occasioni di altrettanti suoi ritorni. Non ci dilunghiamo sui doni che lui e la moglie (si era sposato proprio l’anno successivo al nostro incontro all’aeroporto di Dresda) si premurano a consegnarci a ogni ritorno, mettendoci in imbarazzo al momento di scegliere come meglio ricambiare. Particolari che hanno accelerato sull’arricchire delle più strane informazioni su tendenze e consuetudini che ci accomunano nella quotidianità: quelle sue attuali di quasi sessantenne e di docente universitario di storia dell’arte e le nostre di perdigiorno da pensionati e scriba di trite aure provinciali. Quello che ci resta impresso dopo ogni incontro con colui che qui definiamo l’amico tedesco, sono le provocazioni che, anche senza sua intenzione, ci procurano estemporanei confronti, scambi di opinioni, pareri su libri e autori, sull’arte e i suoi protagonisti più noti.
Ecco: il più recente punzecchiamento ci è stato rivolto un paio di settimane fa, quando in compagnia, a Siracusa, in occasione di cinque giorni di sosta che l’amico e la moglie erano tornati per l’ennesima volta a trascorrere tra lave scure dell’Etna e le pietre bianche degli Iblei, nel divagare da una chiacchiera all’altra, l’amico tedesco ci ha chiesto quale significato da noi si attribuisse, tra oscillazione di gusto e erudizione di pretese intellettuali, al successo sfrontato delle imprese televisive del commissario Montalbano, la cui figura ha conquistato più di mezza Europa di utenti del teleschermo domestico. E, dalla nocciolina lanciata, alla noce di cocco da me masticata, siamo finiti col confrontare opinioni, sofferenze e desideri, non come tra due stranieri amici per caso, ma come due ex compagni di anni liceali, universitari e perenni vicini di casa.
- 3. La mediocrità – convenimmo – ci assedia. E ci conquista ordinariamente fin da subito. O dopo, senza che ci si accorga. A volte la mediazione per la nostra resa e conseguente pecoreccio, viene determinata proprio dalle consuetudini domestiche, di coniuge, figli, amici di famiglia specialmente questi ultimi, se segretamente ammirati per i loro successi commerciali, sociali, frequentazioni dell’haute o persino dallo scaccino del prevosto parrocchiale che asserisce di parlare spesso con il Papa.
Non è notizia scandalosa il vantare confidenze e familiarità con venditori di tappeti persiani che possiedono ville in campagna e palazzi in città. E allora? Allora la conclusione è più banale delle barbose digressioni a perdigiorno, perché la mediocrità è la invitante e comoda pianura della vita. E chiunque deve pedalare se vuole sopravvivere. Chiunque deve camminare per andare al lavoro, o dove lo chiama un dovere, un affetto, un amore, un desiderio lecito, una passione segreta. Ed è comunque il percorso in pianura quello che sarà preferito, rispetto alle salite, alle asprezze di un sentiero ripido dove può capitare a ogni passo di doverci fermare per scansare rami frondosi o cespugli spinosi.
Un confronto, questo (o quello) sulla presenza della mediocrità come panacea, che, tra noi, l’amico tedesco e assenso pieno della di lui moglie, si è rivelato d’un banal grande talmente maestoso da poterlo presentare a un concorso dimostrativo dell’ovvio più ovvio. Infatti tale banal grande è stato nell’avere scoperto, quasi in omaggio alla universalità di certo pensiero di Goethe, le nostre affinità elettive, essendo partiti da una digressione sulla mediocrità. Non vi dico quanta pazienza nello scrutinare con impietosa convinzione misure, momenti e trionfi clamorosi della mediocrità che ci assedia. E le opere di Camilleri divenute spettacoli per fruizioni universali, le callide imprese del commissario televisivo Montalbano tutta congerie di capri espiatori della nostre concordi conclusioni, in disprezzo corale siculo-teutonico per la mediocrità.
- Uscendo dalla sosta tra i gradoni di pietra-calcarea del Teatro greco ci soffermammo ad ammirare lo svettare della monumentale fabbrica luccicante di fede per la Madonna delle lacrime di Siracusa. Cogliemmo nei nostri occhi un lampo di altre convergenze, sulla solida cristianità dell’Europa, un tema che ci avrebbe dato materia di confronti partendo dal disastroso incendio che aveva giorni prima incenerito Notre Dame, argomento da prima pagina per tutti i mass-media del mondo. Sostammo silenziosi forse perché pervasi di ammirazione per le antichità siracusane di cui sprizzano scintille tra le belle pagine del Viaggio in Sicilia Malta e Magna Grecia del barone tedesco, antesignano di Goethe, Von Riedesel.
Ma era in agguato il beffardo destino che si preferisse altro tema ossimoro: la moglie del nostro amico aveva giurato che non sarebbe ripartita per Dresda senza aver prima visitato i luoghi del commissario Montalbano a Licata. Però!
Il marito si dichiarò entusiasta. Che fosse stata provocazione dell’inconscio dei due quella virata a testa-coda? Ci rimane il sospetto, adesso, a bocce ferme e in buona custodia, che ci sia stata una segreta rivendicazione subliminale anche in noi nell’aderire alla istanza culturale dei due al momento di coonestare piuttosto che contestare l’enorme baggianata fino a prestarci ad accompagnarli in auto a Licata.
Al ritorno, l’indomani, il pesante silenzio tra noi in auto, lungo il viaggio tra strade provinciali e autostrade, ha propiziato serenità alla nostra responsabilità di ospiti con auto da noi guidata. Ma qualche meditazione ce la ha propiziato quel silenzio, riflessioni più serie sulla panacea universale della mediocrità che ci agevola a pedalare in pianura, su tutto, dal consumismo alimentare, al vestire, dalla scelta per un luogo di vacanza a quella per letture e libri da Ulisse di Joyce a L’erede del Beato di Angelo Fiore a Festa del centenario di Giuliano Gramigna, per citare ossimori letterari come corvi bianchi negli scaffali alti a pendant del luccicore di richiamo incorporato nella letteratura emergente di mamma mediocrità in tutte le nutrite biblioteche casarecce e pubbliche.
Mario Grasso