«Se il cuore assume la corretta forma,
diventa volontà e si manifestano le emozioni […]
Se l’inferno esiste ci rivedremo»
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Isaac Netero, Hunter X Hunter, Yoshihiro Togashi
Un rivolo di sangue gli sgorgò dal sopracciglio destro. La sua faccia, già sporca di terra, si colorava così anche di strisce vermiglie.
“Forse questa è la mia ultima ora…” pensò mentre cercava in ogni angolo del suo corpo la forza per tenere alzata la spada.
“Morirò così?”
Il tempo nella sua mente scorreva molto più lentamente che nel mondo esterno, gli sembrava che potesse persino a separare anima e corpo per condurre due esistenze parallele a differenti velocità. Era surreale.
“Capitano… guarda come sei ridotto…”
Lo scherniva così il suo avversario. Vestito di nero, brandiva anch’egli una lam. L’elsa, di color verde velluto, era sporca di sangue. Vibrò un colpo e lui riuscì miracolosamente a deviarlo.
“Guardati! Non vedi l’ora di farla finita, ma non vuoi arrenderti! Lo capisci che non esiste altro finale?” urlò il suo futuro assassino.
Poi un altro colpo, che riuscì a stento a schivare. Ormai non si reggeva più in piedi, barcollava, aveva tagli ovunque, eppure teneva la testa alta. Mentre si leccava il sangue che dalla fronte gli arrivava fin giù ai baffi gli parve di udire una voce chiamarlo.
“Mi senti?”
“Chi parla?”
“Stai delirando?” urlò la spada che gli si parava contro.
Non stava delirando, aveva davvero sentito quelle parole, ma non riusciva ancora a capire da dove provenissero. Si bloccò fissando il vuoto.
“Mi senti…”, ma questa volta non si trattava più una domanda. La voce veniva da dentro.
“Ti sento” rispose.
Si scrutò nel profondo, isolandosi nuovamente dal mondo esterno.
“Così finalmente ci incontriamo” disse la voce misteriosa. Lui, però, non riusciva a capacitarsi di ciò che stava succedendo.
“Chi sei?” urlò, facendosi scappare una risata quasi isterica.
“Chi sono è difficile da definire, però so chi sei. Prendi coraggio amico fragile, prendi aria, prendi tutto ciò che possa servirti perché affinché oggi tu non muoia, non lascerò che altri ti facciano ancora del male – alzò gli occhi al cielo, sospirò pesantemente e sorriso in maniera quasi folle – e non lascerò nemmeno che sia tu a fartene ulteriormente. Hai capito?”
Lui non si muoveva, non avrebbe potuto fare altrimenti, gli occhi sgranati fissavano questa losca figura il cui viso era ancora avvolto dalle tenebre.
In quella immensa sala in cui si chiudeva quando parlava con sé stesso, adesso, c’era qualcun altro, che indossava un lungo abito color cuoio. Era scalzo e aveva il cappuccio alzato, il voto era offuscato dall’ombra del luogo in cui era stato catapultato dal suo desiderio di fuga dalla realtà.
“Hai paura?”
Esitò a rispondere, abbozzò un tentativo di parola che si arrestò tra le fessure dei suoi denti da cui, alla fine, uscì solo un semplice fiato.
“Hai paura… ma… non devi! – disse con delle pause che sembravano infinite tra una parola e l’altra – Io sono tuo amico, ti darò la forza per vincere anche questa, ma prima dobbiamo parlare un po’. Hai fretta?”
“La forza?! Quale forza… devo tornare di là, devo combattere”
“Combattere?! Non riesci neanche a tenere alta la spada, a non far tremare le ginocchia. Eppure, vuoi combattere. Contro chi combatti?”
“Contro… contro chi combatto?” chiese stranito, era ovvio chi fosse il suo avversario.
“Non lo sai, ho capito.”
All’improvviso quella misteriosa figura tirò fuori una terza spada. La lama aveva incisa la scritta “De Anima”, l’elsa argentata, alle estremità laterali, mostrava due rubini, la spunta – nonostante la spada fosse stata appena estratta dalla sua guaina – gocciolava sangue. “Impossibile” pensava.
In quel momento si sentì ancora più confuso, prova a darsi delle risposte, a ragionare per categorie, come se si potessero spiegare con la logica certi meandri dell’essere umano.
“In guardia” esclamò all’improvviso il suo nuovo interlocutore, svegliandolo dal torpore di domande in cui stava precipitando, e iniziò a mulinare la spada in aria, poi vibrò il primo colpo.
Lui lo schivò, urlando “ma non avevi detto che eravamo amici?”
“Oh ma lo siamo caro mio, io non potrei mai ucciderti!”
“Perché? Come faccio a fidarmi dopo che mi hai attaccato?”
E allora lei urlò più forte di lui, urlò come poche volte l’essere umano potrebbe fare, urlò con una rabbia tale da far tremare le pareti stesse di quella surreale dimensione: “Perché io sono te, io – sono – te!” e si abbassò il cappuccio, mostrando lo stesso viso che egli poteva vedere specchiandosi in un riflesso d’acqua limpida.
“Tutto ciò è assurdo”
“No amico mio, non lo è. Sai quante volte io ho subito i tuoi colpi? Gli altri… ma gli altri non sono un problema, noi esistiamo per resistere ai colpi degli altri, ma se dobbiamo fare i conti pure con i nostri e non possiamo mai abbassare la guardia, ecco, lì diventa difficile. Capisci adesso perché ti attacco?”
E così riprese la sua carica, lui provò ad anticiparla, ma lei deviò il colpo, scardinando la sua difesa, poi affondò la lama con la stessa rabbia con cui aveva urlato poc’anzi. La spada gli trapassò il corpo da parte a parte, sentì che forse almeno quel duello era finito. Ma era solo un’illusione.
Quando la lama fu estratta dal suo corpo con un movimento secco, la sua ferita s’era già interamente ri-cucita.
“Ancora, in guardia!”
Questa volta lui scelse di aspettarla. “Sto combattendo contro…”, “… la tua anima” completò lei mentre tagliava in due l’aria con un fendente che affondò di netto nella sua carne. Faceva male, come se fosse vero, ancora una volta sembrava che stesse per finire tutto, ma così non era mai.
“Oggi vincerai, ma non senza rinunciare a qualcosa. Una parte di te è andata per sempre, accettalo, lasciala andare e non ci sarà spada che non potrai vincere. Le cose cambiano e ogni giornata di sole non è mai la stessa, non è detto che tu ti senta sempre riscaldato, accetta la notte”.
“Io sono stanco” disse lui cadendo in ginocchio, deponendo la spada in segno di resa. “Degli altri, di me…”
“Tu? Tu sei stanco? E io cosa dovrei dire? Pensi che sia giusto? Pensi che ci sia una giustizia per cui tutto tornerà in equilibrio come prima?! Ti sbagli!” e lasciò che la sua spada penetrasse ad altezza cuore il petto di quel pover’uomo. Stavolta non la estrasse, gli si avvicinò all’orecchio e gli sussurrò “bravo, accetta la notte, solo così può arrivare l’alba”. Lui stava piangendo, ma non per la ferita appena inflittagli.
E come se non fosse mai successo nulla, si ritrovò catapultato di nuovo sul campo di battaglia.
Non ebbe neanche il tempo di ripensare a cosa gli fosse appena accaduto che il suo avversario affondò un colpo deciso, imparabile e inaspettato, che gli tranciò di netto il braccio sinistro. Questa volta non sarebbe ricresciuto.
Urlò disperato, faceva male, c’era sangue dappertutto, ma si rese immediatamente conto di una cosa: era stato meno doloroso dei colpi infertigli della sua anima.
Fece qualche passo indietro, raccolse la sua spada da terra e sorridendo sussurrò “Grazie”.
Guardò il suo braccio.
“Sono grato per tutto questo”. E si scagliò verso il suo nemico.
Seguì uno scambio rapidissimo di colpi, poi vide l’apertura che aspettava e affondò la lama: un colpo netto al cuore, affondo la spada con la stessa rabbia con cui la sua anima lo aveva colpito più e più volte. Il suo avversario stramazzò al suolo, lui per la spinta che si era dato a sua volta gli cadde di sopra.
Prima di spirare, il suo nemico sussurrò “Capitano…”
Poi l’ennesima domanda.
“Perché mi chiama capitano? Capitano di cosa?”
Aprì gli occhi all’improvviso. Il suo braccio sinistro c’era ancora, nessuna spada e nessuna macchia di sangue. Il suo letto aveva le lenzuola totalmente stravolte, come se fosse passato un uragano in quella stanza. “Mi sarò dimenato nel sonno…” pensò. Era stato solo l’ennesimo sogno.