Pennellate presenze/assenze ed abbracci perduti

Questa lettura critica nasce dall’osservazione delle opere di Safet Zec, esposte alla mostra di Mogliano Veneto in provincia di Treviso.

La mostra presenta opere varie realizzate olio su tela o con tecniche miste, come carta incollata su tela con interventi a olio e acquerello.

L’artista opera a livello internazionale, ha esposto presso il Padiglione Venezia della Biennale “Stranieri ovunque”, 2024.

Le opere di Safet Zec sono poesia del quotidiano la cui polvere deposta sugli oggetti li rende diamanti grezzi.

Abbracci di figure umane si strappano all’anima tra un turbinio di colore e su un palinsesto di strati sottostanti come veli di memoria.

Una memoria cara, amata, perduta e ritrovata nel ricordo.

Luce e ombra marcano, plasmano oggetti consunti, vissuti, vivi e morti al tempo stesso come emblemi del tempo.

Diastema del presente, le opere invocano il passato mentre le pennellate toccano le corde del vissuto dello spettatore che abbraccia l’imago dell’oggetto attivando una mimesis interiore di percorsi emotivi.

Oggetti comuni diventano pretesto per un viaggio introspettivo, una porta che racconta tra le sue crepe, una scarpa che sottende una presenza, fantasma che crea attese, elementi visibili al limite del tangibile.

La vista diventa epitome del ricordo, il tatto brama la presenza, nelle vene delle mani che stringono audacemente e repentinamente si cela il desiderio sospeso e soppresso di un abbraccio.

Nel mondo della fretta, gli oggetti dipinti sono realtà oggettive vive che ci costringono a guardare per cercare il proprio mondo soggettivo, avvolgere l’intensità della scena.

Spessi strati di colore si avvicendano sulla superficie costringendoci a restare a guardare sempre più.

Le opere del pittore bosniaco seducono lo spettatore creando un legame sottile tra il significato oggettivo e soggettivo, un patrimonio visivo che tocca le corde del dolore di un abbraccio.

La corporeità dell’abbraccio è presente e assente al tempo stesso, nelle increspature di colore si reifica la carnalità delle vene mentre la trasparenza della carta ne annulla la tangibilità riducendola ad assenza.

Si tratta di quadri dove le tecniche collaborano alla metafora dei sensi.

La trasparenza dell’acquerello rievoca la dolcezza della carezza, la pesantezza della pennellata ad olio la pretesa di trattenere la persona, le trame della tela tessono il ricordo di un’emozione straziante del passato lontano la cui storia è rievocata da un vecchio giornale consunto che fa da substrato alla storia di emozioni umane dipinte sopra.

Non esiste uno stile che non possa essere veicolo di un’emozione, le emozioni sono fragili e intellegibili, ma anche pesanti e potenti per la loro presenza, possono accatastarsi nella memoria ed essere potentemente presenti come un cumulo di sedie in una stanza vuota.

Una stanza piena ci ricorda che il vuoto non esiste perché colmato dalla presenza di oggetti un tempo utilizzati da persone che non si sa più dove siano, il cuore è vuoto e pieno al tempo stesso, vuoto di persone che non ci sono più ma pieno di ricordi che ci rendono vivi.

Il pittore del vissuto, del passato, del ricordo, dei sogni sospesi dietro una porta.

La porta è il varco delle possibilità, essa stessa è potenzialmente un limite e una speranza.

Con maestria tecnica il pittore ci da e toglie al tempo stesso un pezzo del suo e nostro vissuto intrisa nelle maglie pittoriche si intravede la trama della fragilità umana.

Un filo, una macchia rossa percorre tutta la mostra, un filo rosso rievocazione delle Parche? Del sangue? Della vita? Sicuramente un ricordo di un dolore intriso nel tempo e nello spazio che lega, accompagna in ogni quadro, come ombra, manifestandosi come un elemento di contegno, di inquietudine e mistero forse il ricordo sempre latente della guerra e dei cari perduti. Un senso del dolore che ci permea e accompagna sempre in quanto siamo esseri intrisi di vissuti vari che ci accompagnano lungo il percorso di vita.

(Articolo e foto a cura di Ombretta Di Bella)