pluralità e coesione
Dovrei astenermi dal pronunciarmi sull’istant book fresco di stampa “Altro su Sciascia”, curato da Mario Grasso e uscito proprio in occasione del trentennio dalla scomparsa dello scrittore di Racalmuto. Dovrei astenermi perché tra i contributi critici raccolti c’è anche il mio, ma probabilmente qualche parola la spendo proprio in segno di gratitudine per l’avermi coinvolto in questo progetto editoriale, io la più giovane in mezzo ai Maestri. È per me un onore poter essere tra le firme di questo saggio.
Non parlerò del mio contributo, di cui ho scritto, e per cui ho scelto di approfondire la commedia “Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D.”, ma – quanto al mio caso – mi limiterò solo a dire che, da giovanissima, il mio primo approccio con Sciascia è stato a scuola. Sebbene ai ragazzi i docenti abbiano sempre consigliato “Il giorno della civetta”, forse per la brevità o per il grande successo che ha avuto, la mia prima lettura è stata saggistica: “La corda pazza”. Erano anni in cui tutti e tutto attorno me s’impegnavano a scoraggiarmi nel perseguire il mestiere dello scrivere, dipingendomelo come qualcosa di veniale, misterioso, autistico, se non masochistico, da sradicati dalla realtà. Leggere Sciascia mi ha fatto capire che la scrittura è un’altra cosa, non è quella che certe volte alcuni professori insegnano a scuola. Bisognerebbe poi leggere di più proprio nelle scuole ciò che hanno da dire gli scrittori degli altri scrittori. La loro produzione saggistica svela della personalità molto, al pari della produzione narrativa o poetica. E sicuramente mi ha fatto capire come si può far parte del mondo e fare qualcosa di concreto per il mondo anche attraverso la scrittura.
Ma – come dicevo – non parlerò di me, ma dei miei “compagni”, cominciando proprio dalla nascita dell’iniziativa. Proprio in occasione dell’anniversario, il direttore della nostra rivista Lunarionuovo aveva giustamente dedicato l’editoriale a Sciascia, a cui seguì da parte degli amici più stretti un’unanime sollecitazione a raccogliere pareri specialistici per un istant-book. Abbiamo scritto questo, ciascuno nel proprio piccolo, nel giro di una settimana e il risultato che ne è venuto fuori è stato sorprendente. L’ho letto con gusto, non solo perché da ventenne sono avida di apprendimenti dai più grandi, ma anche perché davvero il titolo è centratissimo: davvero qui ho trovato “altro” su Sciascia, ciò che non avrei potuto trovare scritto da nessun’altra parte. Il risultato, la coralità, la quota di coesione nella pluralità, mi hanno fatto pensare a una nostra consuetudine ormai nota a chi frequenta il Gruppo Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane. Si tratta di un’associazione cultuale fondata da Mario Grasso prima che io nascessi e di cui adesso, da qualche anno, sono la presidente, che si riunisce a Catania una volta al mese e al termine dei lavori usa concludere con quella che chiamiamo “poesia di gruppo”: il direttore da un tema e ciascuno su un bigliettino di carta scrive un verso libero. I bigliettini ripiegati vengono raccolti in un cappello, mescolati e tirati fuori a caso, come in un sorteggio. Ogni frase viene scritta in colonna così come viene sulla pagina di un quaderno apposito e alla fine viene letta ad alta voce. L’impressione generale è che il componimento sia stato scritto da una sola persona, talmente sembra che un affermazione sia la naturale prosecuzione della precedente. Sembra quasi una magia. Secondo me è un po’ quello che è accaduto con questo libro.
Una coesione nella pluralità. A differenziarci c’è sicuramente la formazione culturale e professionale, oltre che il focus del nostro approfondimento, gli anni di esperienza e le generazioni. C’è chi Sciascia lo ha solo letto, come sicuramente nel mio caso, c’è chi invece lo ha conosciuto personalmente, o perché legato da fraterna amicizia o perché presente a contingenze comuni. Nel primo caso mi riferisco a Mario Grasso, ma anche a Grazia Dormiente (che lo ha incontrato a Chiaramonte Gulfi con la mediazione del comune amico Gesualdo Bufalino).
Vi è stato legato Vanni Ronsisvalle, che ci racconta alcuni aneddoti anche toccanti, come quello del funerale a cui aveva presenziato, in un parallelismo con quello di Pannella, entrambi all’insegna delle contraddizioni: emblematico è il rosario infilato tra le mani di Sciascia, segno del dissidio interiore tra spirito illuminista ed educazione cattolica ricevuta. Ma Ronsisvalle ci racconta anche dell’affetto particolare che li legava così come delle piccole delusioni e non poteva non fare riferimento al premio da lui fondato Brancati Zafferana, a cui Sciascia partecipò più volte come componente della commissione giudicante. Lo ha incontrato in molte occasioni giornalistiche o per premi letterari Salvatore Scalia, il quale, da caporedattore della pagina culturale del quotidiano La Sicilia – allora – lo ha ospitato tra le pagine cartacee, pur non tirandosi indietro al momento di entrare in disaccordo, nel comune esercizio dell’autonomia di pensiero. Nel suo contributo ribadisce questa grande lezione lasciata da Sciascia anche quando a suo discapito: “ci ha educati a dissentire, anche da lui stesso, a non dare nulla per scontato”. Lo ha incontrato poi Angelo Maugeri, nel ’68, a un cineforum su “Il giorno della civetta” (il film) a cui mancava il regista ma presenziava l’autore del romanzo.
L’ha conosciuto Salvatore Cangelosi, quando da ragazzo desiderava ardentemente rivolgergli una parola, stringergli la mano e ogni volta non riusciva a trovare il coraggio – racconta addirittura di averlo pedinato per poterlo intercettare in un momento propizio – salvo poi ritrovarselo a distanza di anni nella propria libreria, già abbattuto dalla malattia ma invariabilmente affascinante.
E poi c’è chi non l’ha conosciuto ma ne è stato influenzato nel proprio percorso di formazione, anche umano. Sebastiano Aglieco ricorda quale rapporto intratteneva coi suoi libri in adolescenza e come questo è mutato con l’ingresso nell’età adulta e soprattutto con l’allontanamento dalla propria terra, ritrovando in Sciascia una sensibilità improvvisamente molto vicina alla propria, specchiandosi nelle sue parole. Aglieco ci propone una citazione p.21 per spiegare il rapporto che per Sciascia c’era tra letteratura e indagine poliziesca.
Salvatore Bommarito delinea il tipo-siciliano (l’eroe siculo-arabo) come emerge dall’opera omnia, un vero e proprio profilo personologico dove un ruolo importante è giocato dalla solitudine e dalla religione-non religione.
Alessandro Centonze approfondisce il tema della giustizia attraverso il triplice impegno sciasciano, sui fronti editoriale (da consulente della Sellerio), saggistico (con l’Affare Moro per esempio) e narrativo (specialmente con Porte aperte). Emerge attraverso il suo excursus anche il profilo ideale di magistrato, tema che non può che essere sensibile per Centonze.
Il contributo di Massimliano Magnano, che scrive dell’amicizia che legava Sciascia al prete, poi spogliato, Gonzalo Alvarez Garcia, ci fa ben capire come davvero questo libro parla di uno Sciascia “altro”, come non ci viene insegnato, di quei retroscena che lo rendevano umano e della contraddizioni meno note.
Toccante è anche il ricordo di Laurea Rizzo, che racconta del suo primo approccio da adolescente con la scrittura giornalistica di Sciascia, attraverso i quotidiani che portava a casa il padre. Una sua affermazione sulla donna siciliana comandante la colpì al punto da indagare di questa verità in casa, prima, per restare delusa e arrivare, molti anni dopo, a condurre una vera e propria inchiesta sociologica sulla donna siciliana e la famiglia, intervistando molte donne di chiara fama corregionali, interviste esitate nel libro “Che donna la Sicilia!”. In questo mio excursus, che si avvia alla conclusione, non ho citato tutti gli Autori che hanno partecipato a questo libro corale, non ho menzionato Renata Governali, Stefano Lanuzza, Antonello Piraneo, Alfio Siracusano, ma non voglio saturare tutto ciò che c’è da scoprire leggendo questo libro.
Prima di concludere, mi soffermo solo su un ultimo aspetto, che è poi ciò che, nella pluralità finora sviscerata, fa da collante ed elemento di unificazione in questo libro: il fatto che tutti noi, senza accordarci, abbiamo posto l’accento sul fatto che leggere Sciascia oggi è tanto attuale quanto formativo al livello civile. E ripeto: civile. Dario Consoli una virata sull’attualità politica italiana l’ha fatta, a proposito della “passione antifascista” di Sciascia “sensibile all’eternamente possibile fascismo italiano”. Ma forse il senso di tutto il libro e di tutta l’opera sciasciana è racchiuso a pagina 86, l’ultima pagina dell’intervento del professore Nicolò Mineo, che riporterei qui tutta ma non voglio togliere al lettore il piacere di godersela dalle stesse pagine del libro.
Giulia Sottile