“Oh, noi / che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza, / noi non potemmo essere gentili. // Ma voi, quando sarà venuta l’ora / che all’uomo un aiuto sia l’uomo, / pensate a noi con indulgenza”.
Nell’accingermi a scrivere a proposito del nuovo libro di Stefano Lanuzza, Argotier. Louis-Ferdinand Céline, l’argot, il Novecento, mi piace cominciare prendendo in prestito la citazione che lo stesso Autore fa di Brecht. Racchiude forse il senso di questo volumetto (pagg. 82, ed. Jouvence) volto ad attuare un’operazione di ri-contestualizzazione storica di un autore spesso travisato e di cui Lanuzza è tra i più attenti studiosi. Non è infatti il suo primo saggio sull’argomento (Maledetto Céline. Un manuale del Caos; Céline della libertà. Vita, lingua e stile di un “maledetto”; Louis-Ferdinand Céline. La parola irregolare; Céline testimone dell’Europa. Un dibattito e un’intervista con Louis-Ferdinand Céline; Arletty, Sartre e Luois-Ferdinand Céline; Marginalia intorno a Louis-Ferdinand Céline).
Accade spesso, infatti, sia nella vita di tutti i giorni che nelle affermazioni dei personaggi più noti, che alcune frasi vengano estrapolate dal loro contesto e strumentalizzate per fini tornacontisti, politici e non. Si giunge a imputare a qualcuno un impianto ideologico che non esiste. Questo è per molto tempo accaduto a Céline, scrittore francese “maledetto” del Novecento, divulgato senza operare una completa e scrupolosa pre-documentazione. Nell’immaginario collettivo è duro a morire il profilo dell’antisemita-collaborazionista-negazionista.
Sono queste infatti le tre principali accuse allo scrittore francese inviso in realtà a tutti, destre e sinistre. Se la prima accusa è fondata, quella di un antisemitismo però trasversale a tutte le categorie politiche e sociali, specialmente in Francia; le altre due non avrebbero nessuna prova a supporto e, al contrario – ci dice Lanuzza – sono facilmente smentibili. A una tra le voci accusatrici più autorevoli, quella di Sartre, l’argotier risponde spietatamente ridicolizzando l’uomo e le sue affermazioni, negando di essere stato al soldo dei nazisti. Tanto che, nonostante per queste accuse finì in prigione, fu poi assolto per mancanza di prove dal severo Tribunale della Senna. Episodi a riprova dell’infondatezza dell’accusa sono annoverati in un mini-compendio biografico. Uno di questi è il soggiorno parigino nel 1940 di Céline accanto a un caseggiato sede di incontri clandestini di componenti della Resistenza, mai denunciati dallo scrittore, nonostante il clima di terrore imperante.
Quanto all’accusa di negazionismo, pare nascesse da un’affermazione contenuta in una pubblicazione risalente ad anni in cui non solo Céline, ma tutto il mondo, non poteva ancora sapere dei campi di sterminio. Verità emersa solo alla fine della guerra.
Lanuzza poi sottolinea come non mancarono intellettuali e professori che “entusiasticamente schierati col fascismo”, sia in Francia che d’altronde in Italia, adottarono la missione di formare cittadini devoti al regime. Collaborazionista accertato fu, per esempio, Heidegger. Per non parlare della Chiesa, che gradualmente prende sempre meno le distanze dalle politiche nazifasciste, col pretestuoso giustificazionismo anticomunista. Per la stessa ragione dopo la guerra si assisterà a un trasformismo repentino, in Italia – per non andare troppo lontani – con l’assegnazione di alte cariche istituzionali a ex-fascisti.
Pare poi che lo scrittore fosse inviso anche al nazismo e in più d’una pubblicazione si professa anti-nazista e “comunista con un’anima”. Nel primo caso, confluiscono il pacifismo, l’anticolonialismo e il dichiarato odio verso Hitler e la sua politica. In una lettera a un amico, afferma quanto gli sia odioso il nazifascismo, con le sue logiche gerarchiche, mentre lui vuole agire da uomo libero. Altrove attacca il trinomio Dio-Patria-Famiglia – storicamente delle destre – come l’esaltazione patriottica. Per le stesse ragioni è stato fortemente critico nei confronti della dittatura staliniana, totalitaria, non molto distante dal nazifascismo, traditrice del vero comunismo, quello più di linea trotskysta (pare tra l’altro che Trotsky avesse apprezzato Viaggio al termine della notte). E così allora si mette contro pure il governo sovietico. La sua critica investe tutti, la società contemporanea, con il suo consumismo, il macchinismo, la mancanza di poeti, e lo esterna con un linguaggio pieno d’odio.
Quello che per tanto tempo è stato compiuto nei confronti delle opere di Céline – ci fa notare lo studioso – non è tanto diverso dall’offesa arrecata dalle dittature dell’epoca ai danni della cultura, condannando al rogo migliaia di libri perché non in linea col pensiero ufficiale. Ci si accorge facilmente poi di quale grande ipocrisia si celi dietro le invettive se si guarda alla resurrezione di un dilagante razzismo nell’odierna Europa, non meno pericoloso di una parola estrapolata dal suo contesto. Il viaggio storico compiuto in questo volume, dunque, ci ammonisce, invitandoci a riflettere sui particolari con occhio critico. E poi c’è un altro nucleo tematico: la letteratura.
Le polemiche sui contenuti degli scritti céliniani hanno distolto dai reali meriti letterari, da rintracciare anzitutto nello stile. Questo libro vuole rimettere al centro lo stile, quell’argot céliniano che è una vera e propria lingua a parte: integra dialetto, gergo, argot parigino, neologismi che fa passare per argot ma che, partendo da esso, vanno oltre. Lanuzza riporta poi diverse definizioni di argot e del suo uso date alternativamente da Hugo, da questo punto di vista suo precursore, e Céline. «L’autore apre al parler usuel trasfigurando in fenomeno artistico ciò che prima è supposto un evasivo langage clos». In esso si possono rintracciare – fa dire a Hugo – vecchio francese popolare, provenzale, spagnolo, italiano, levantino, inglese, tedesco, lingua romanza, latino, basco, celtico, ogni parlata nella versione che accomuna tutte le fette “miserabili” di popolazione. Di quell’argot, dice poi Céline, non è rimasto più niente, se non qualche termine pronunciato con accento inglese per far colpo sulle donne ai caffè.
Il mistilinguismo céliniano va considerato un caposaldo della letteratura non solo francese, ha fatto scuola e suoi influssi si possono rintracciare in molti autori. In Italia: Malaparte, Viani, Gadda, Fo, Camilleri, D’Arrigo. Fa un po’ impressioni accostare alcuni di questi nomi gli uni agli altri, in questa breve lista, e allora specifichiamo che l’accostamento è da intendersi prettamente relativo alla scelta di servirsi di un linguaggio libero e ricco di contaminazioni dialettali, deformante, sino a sfociare nel neologismo. Lanuzza sceglie quale erede italiano di Céline, stilisticamente parlando, il D’Arrigo di Horcynus Orca. Ma annovera anche autori francesi che avrebbero seguito le sue orme.
E poi, a chiusura, redige un mini-glossario di lessico argotico céliniano, quale dimostrazione della genialità dello scrittore nel manipolare la lingua, ma anche piccola guida nella lettura delle opere. È una sintetica campionatura – ci dice l’Autore stesso – ma esemplificativa, e chiude, da studioso che di e su Céline ha letto tous les livres, con consigli per chi volesse approfondire il tema dell’argot.
Giulia Sottile
p.s. su questo stesso sito, nel 2015 usciva un nostro saggio critico su “Céline ella libertà” in una prima, seconda e terza puntata.