Un libraio racconta
Aneddoti attraverso la letteratura
«Tutto si può dire della Sicilia, ma non che difetti di uomini geniali».
Nell’incredibile umiltà mostrata da Salvatore Cangelosi, sono queste le parole che sole potrebbero racchiudere la stima e la gratitudine che il nostro Autore non risparmia a molti corregionali nel dar loro voce, attraverso aneddoti sempre autobiografici, in “La Città e i Libri. Avventure di un libraio” (ed. Torri del Vento). E suona molto come quelle recenti constatazioni salisburghesi sul “genio etneo” che non di molto si distanzia geograficamente dalla Palermo – teatro delle vicende e città natale del Cangelosi – che è poi arto di uno stesso organismo. Questo per portarci su altre riflessioni, due. La prima è data dalla straordinarietà di un siciliano che si lasci andare a gratificazioni nei confronti di un altro siciliano – così è attraverso le fitte pagine di vita e letteratura – mentre la seconda tocca le stesse corde suonate, in postfazione, dal giornalista Marcello Benfante, che ci ricorda che l’Autore, che annovera autori e letture che molto gli hanno lasciato formandolo, non parla mai dei libri che lui stesso ha scritto prima del suddetto. Atto di modestia? Ci porta comunque a rivolgergli “contro” le sue stesse parole, incipitarie di questa breve nota critica.
“La Città e i Libri” è un ritratto della Palermo letteraria degli anni 1979-1992, anni in cui Salvatore Cangelosi lavorò come libraio, partendo dall’apprendistato in via Sciuti, alla storica libreria Ciuni – in seguito rilevata dalla Feltrinelli – per passare alla Cavour della via omonima e infine alla Feltrinelli stessa. È testimonianza storica di un mondo che oggi può essere solo raccontato, precedente alla crisi del libro – sebbene se ne parlasse già allora, un po’ come quando un genovese si lamenta son un siciliano per gli orari degli autobus. Ma è anche testimonianza di chi dinnanzi alle sfide può solo rimboccarsi le maniche e trovare dentro di sé la forza per non fermarsi dinnanzi alle difficoltà, ma apprendere ogni giorno qualcosa di più, di chi, nato in provincia, scopre progressivamente il mondo cittadino e soprattutto la gratificazione che può dare lo studio, ma anche la sola lettura. «Mi accorsi così che il conoscere era una gran cosa, e che lo studio era un impegno morale verso se stessi».
Sono forse discreti consigli di lettura quelli che compiono tra le righe? Sono campioni rappresentativi, di una società quale era quella palermitana e siciliana in genere, a condizionare non solo l’editoria stessa ma anche, infine, le scelte delle proposte da mettere in vetrina – arte da non sottovalutare e di cui ci rende nota Cangelosi.
È diario di esperienze che la professione del libraio può regalare, a partire dai confronti e dagli incontri con uomini che possono donare lasciti intellettuali di ampio respiro, con una breve lezione o anche solo con un saluto. Così sono molte le conoscenze che l’Autore da allora ha fatto, da Fausto Flaccovio allo stesso Ciuni, da Mino Blunda e Mario Farinella a Paolo Volponi, da Ubaldo Mirabelli e Giacomo Giardini a Francesco Carbone, da Enzo Sellerio a Giuseppe Bonaviri, da Romano Montroni, Valerio Giuntini e Inge Feltrinelli a Valentino Bompiani, da Vincenzo Consolo e Lucio Piccolo a Danilo Dolci – per fare solo alcuni dei nomi – per aprirsi poi in impressioni e aneddoti sui personaggi che si vivificano tra le pagine.
Ricorda l’Autore il fermento della Sicilia messa a ferro e fuoco dagli attentati a Falcone e Borsellino su cui il cardinale Ruffini rincarava la dose delle invettive contro Danilo Dolci, altra firma, questa, che Cangelosi conobbe. Si aprono anche le questioni sul Giuseppe Tomasi di Lampedusa «personaggio» e sul premio Mondello (su cui Consolo si pronuncerà severamente), per culminare nella sua personale prospettiva della magica e direi quasi ormai mitologica villa Piccolo, contribuendo, Cangelosi, all’accrescimento della sua aura di mistero, per nulla artefatto, definendola «Non una casa, ma cento case, forse mille…» per il volto diverso che mostrava ad ogni visitatore. E poi non poteva mancare una memoria su Leonardo Sciascia, scrittore che molto segnò la sua formazione e a cui mai il Nostro ebbe il coraggio di presentarsi per il timore che suscitava – e non solo nell’allora giovane Cangelosi. «Illuminista per così dire paradossale», di lui scrive. E questo è solo uno dei ritratti che emergono a testimonianza di chi ha vissuto un pezzo di storia della letteratura, sebbene nel ruolo di filtro tra la penna e il lettore.
Ed è quest’ultimo punto che si fa vivido nel corso di una rapida e fluida lettura: la passione per il proprio lavoro e l’apertura nei confronti di un cliente che entra in libreria non come si possa fare in un negozio di scarpe, bensì per dialogare, dibattere, apprendere, accolto dalla preparazione e dalla dedizione di chi deve essere sui libri sempre informato, non mero esecutore ma risorsa da consultare. Un’arte in disuso? Un po’ (Giulia Sottile)