“Scrupoloso diario in pubblico” – come lo definisce Mario Grasso in prefazione – è l’esordio poetico di Antonio Leotta intitolato “Riflessi”, dai fenomeni cromatici che si creano al riflettere della luce nello spazio, immagine ricorrente ed emblematica nel succedersi dei componimenti.
Abbiamo conosciuto Leotta nell’occasione culturale di una speculazione teorica sul rapporto tra le diverse forme di espressione artistica, speculazione che voleva anche essere personale contributo estetico e proposta di confronto. E il dibattito c’è stato, con esiti nelle pubblicazioni sul numero di ottobre della rivista Lunarionuovo (www.lunarionuovo.it).
La tesi di partenza del neo-poeta (“neo” esclusivamente nella divulgazione, in quanto i suoi primi componimenti risalgono ai primi anni ’90 del secolo scorso) è che accade talvolta che forme d’arte “esuberanti”, che già di per sé s’impongono con incisività all’attenzione e alla sensibilità del fruitore, come la poesia e la musica, quando proposte simultaneamente come in una canzone, possano entrare in competizione. Non entreremo nel merito del dibattito, perché l’abbiamo già fatto in altra sede (la rivista suddetta), ma rievochiamo questo momento delle riflessioni e dei contributi di Leotta perché strumento in più per comprendere la sua poesia e il suo personale modo di approcciarsi all’espressione delle proprie tensioni subliminali attraverso le modalità codificate dalla nostra cultura. Alla luce della necessità di accedere pienamente a ognuna di esse e al contempo di poterle integrare e armonizzare in un’unica esperienza, crea ponti;e la genesi di alcune delle poesie contenute nella silloge non sono che la manifestazione esemplificativa di ciò che lui ha chiamato “trasposizioni”.
Ce lo dimostra la poesia dedicata a un dipinto di Giuseppe Corradino, quella in cui paragona suono e colore come diverse declinazioni dello stesso concetto, quella il cui titolo è tratto dagli ultimi versi di una poesia di Elisa D’Agata e il soggetto da un proprio quadro (perché scopriamo che Antonio Leotta si diletta nella pittura, spiegazione ulteriore della sua inclinazione al bisogno o alla istintività nel coniugare dimensioni diverse del percetto), ci sono poi i componimenti ispirati a un brano di Giovanni Allevi, a un altro di Ludovico Einaudi e a un poema sinfonico di SergeiRachmaninoff a sua volta ispirato a un dipinto di Bocklin, e quello nato alla vista del panorama che il visitatore può ammirare dal terrazzo della Villa Belvedere di Acireale.
Ecco che ci viene proposto un esempio di alternativa modalità di accesso alla poliedricità dell’espressione umana, dove ogni forma d’arte vive nella propria autonomia e al contempo concorre a veicolare lo stesso messaggio.
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A conferma di ciò, oltre che della poeticità presente nella scrittura dell’Autore, è presente una spiccata musicalità negli accostamenti fonetici delle parole scelte (es. «Nel cielo serale/ il sole rosato all’orizzonte/ condensa la freschezza/ cristallina degli astri» o «Si compose nel nulla/ di un istante la visione/ di una fuga atroce:/ aggrappato al legno/ di un barcone che da culla/ ti fu croce») accanto a una incisiva figuralità (es. «e la notte nel sogno/ immagini disegna» oltre alle svariate immagini vivide che quasi si materializzano).
Ma nel succedersi dei suoni e delle immagini, un ruolo fondamentale è occupato dalla luce e dai colori che essa riflette. Da una ricerca di vocaboli, infatti, emerge che proprio le parole “luce” e “colore” (con tutte le loro coniugazioni) sono le più frequenti (adottate rispettivamente circa 37 e 33 volte). Al terzo posto spicca “riflesso” (anch’essa nelle sue coniugazioni, ripetuta 14 volte). “Buio” e “ombra” seguono, occupando un proprio posto nel team delle parole che racchiudono l’essenza del mondo che il poeta si raffigura e in cui trova il materiale per affrontare proprie speculazioni metafisiche e non. Infatti, nei contrasti tra luce e ombra, frequenti e inesorabili, l’una vive in funzione e in virtù dell’altra, in un continuo gioco figura-sfondo, alternanza di coppie polari come l’etereo e il porpora, la trasparenza e la nitidezza.
Il colore è lo strumento privilegiato per spiegare e spiegarsila realtà che ci circonda, metafora stessa dell’esistenza: il colore è uno dei modi che ha la realtà per manifestarsi a noi? La mente accende i colori per eludere il buio? «Ogni pensiero/ ogni palpito inascoltato/ del cuore» è coniato nel colore? Nel colore sono registrate le vicende ed esso nel comparire come segnale esterno le richiama, ne attiva il ricordo e il senso, insieme al suono che ne viene? Sembra una speculazione metapsicologica circa funzioni cognitive come la memoria e – «e di sua eco ricolora/ quell’istante interiore» – le emozioni.«In uno spazio enorme/ ogni cosa sarà la proiezione/ di un ricordo dimenticato/ in un momento chiuso:/ quasi perduto nell’essere». E, ancora, il riflesso… è l’immagine che noi, dalla nostra prospettiva, possiamo vedere delle cose («della forma») come unico modo per conoscerle e farne esperienza? «Il colore si sparge dall’occhio».
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Ma “Riflessi”, servendosi della figuralità dei colori e dei riflessi – appunto – è anche strumento (lirico) di una personale ricerca, dallo spirituale al laico, verso il religioso talvolta ma sempre di stampo metafisico. Nella solitudine, in cui sempre nasce la poesia, e nel silenzio come spazio in cui far prender corpo alla mente, il poeta si pone domande le cui risposte restano aperte, non saturano alcuna verità e tuttavia nello sforzo di superare le barriere dell’umana coscienza. «Interpretando l’aria/ non ho che alzato/ gli orizzonti del mio insistere». Così crea un mondo a cui attingere per dare il volto e le parole alla propria rappresentazione del “sovrumano”, e sembra che postuli un universo parallelo, sospeso e chiuso, fatto solo di colori e forme, somigliante un po’ allo spazio interstellare come lo vediamo dalle foto satellitari. E questo è il serbatoio a cui attingere al momento di servirsi di una metafora.
Talvolta si ha l’impressione che le parole descrivano un’esperienza sensoriale che sfiora il misticismo, altre volte sembrano preghiere laiche e al contempo vicine ad atmosfere care a intenti religiosi, le preghiere che solo un poeta può inventare.
Spesso poi Leotta prende le distanze dall’astratto, per antropomorfizzare la natura: la luna diventa «la mente delle acque», la luce fa mute smorfie, una coppia di barche guardano l’osservatore e «il loro sguardo si dilata nell’abbraccio del porto», la luna respira e le stelle sorridono.
Tutto da incorniciare in un quadro dipinto in estemporanea attraverso le parole, immaginivivide e originali che svelano il poeta: «Nastri d’argento/ fregiano il mare»; «ed il cielo ha bruciato le stelle»; «nel cristallo dei ricordi»; «Angeli/ incendiano/ un sipario/ di stelle»; «Uscito a inseguire lo spazio/ accarezzavo le guance dell’aria/ mentre il cielo scivolava nella sera. // Condensava, ogni colore,/ i riflessi di una luce fredda/ che il respiro del giorno/ riassorbiva in sé»; «Intingerò nella tua immagine/ il mio sguardo»; «Brucia nei tuoi occhi/ la mia mente»; «Una polvere argentea/ accende sul mare/ la freschezza dell’aria/ e il respiro che nutre./ Un preludio lunare/ inonda il tuo sguardo/ che annega il mio stupore./ È stupendo stupirsi/ di tanto stupore».
E il tema dello stupore ricorre nei componimenti, insieme a quello dell’amore (es. «Amo l’amore/ che mi educa ad amare»; «e l’amore che ama s’innamora»), due facce della stessa medaglia.
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Qualcuno sostiene che sia possibile indovinare il mestiere che un uomo svolge nella vita quotidiana dallo stile della sua scrittura e qualche volta ci siamo trovati d’accordo nel rintracciare i segnali della cosiddetta deformazione professionale. Anche qui, a dispetto dell’inclinazione verso i suddetti temi emergenti, è possibile scorgere in trasparenza l’economista che professionalmente è Antonio Leotta. Che si tradisca nella spiccata capacità di sintesi e nella scelta oculata dei vocaboli, o nell’attenzione per il dettaglio, oppure in qualche momento speculativo?
Esempi sono la poesia intitolata “La forza del destino” («La prospettiva del singolo/ lascia margini al caso/ e il gioco dei dadi c’illude./ Ma le variabili si raccolgono/ nel sistema che si chiude/ e che tutte le contiene./ Il suo programma anticipa/ le dinamiche, codifica/ ogni minuta interazione»), o altrove espressioni come «Il desiderio si stringerà/ nei margini del calcolo» e «Brucio/ nell’istante/ esattezze/ di calcolo».
Subito dopo però aggiunge: «Non mai/ perfetto/ mio atto/ sarai// denigrato/ da pensiero/ inesauribile», a inizio di una serie di segnali dell’atteggiamento di umiltà con cui il poeta e l’uomo si pongono dinnanzi alla conoscenza e alla vita. Più avanti infatti si legge dell’impalpabilità dell’essenza di ognuno di noi, della difficoltà «per troppa novità» nel reggere il peso di un mondo ancora inesplorato, e dell’accettazione dei propri limiti dinnanzi all’altro («E quando cadrò nell’errore/ imparerò ad abbandonarmi/ per ritrovarmi/ nell’eterno Noi»).
E chiudo quest’analisi della poesia di Antonia Leotta con un neologismo, da lui stesso coniato: il verbo “eternare”.
Ci viene spontaneo constatare, a fronte dei più disparati lavori che un uomo nella vita può trovarsi a svolgere e al di là di essi, che, per dirla con le parole del prefatore di questa silloge d’esordio, poeti si nasce, e ogni tanto capita, magari, che,un giorno, si scopre di esserlo.
Giulia Sottile