È sempre complicato parlare di un libro di Mario Grasso, sia per la portata culturale e umana della persona, sia per l’effettiva complessità delle sue opere, da quelle poetiche e narrative a quelle saggistiche. Aprendone un libro a caso, si accede a un universo popolatissimo, pieno di viavai affollati, ma ordinatamente diretti da semafori e cartelli. Anche questo “Sicilia. Luoghi del genio” è un caleidoscopio che insegna a grandi e piccoli, un mosaico di storie che sono già Storia.

Il progetto di farne un volume nasce dalle ripetute sollecitazioni di un caro amico, il giudice di Cassazione Alessandro Centonze che, a dispetto della natura della professione quotidiana, è attento cultore di materie letterarie e segue con interesse a partecipazione le iniziative culturali organizzate sul territorio regionale dal gruppo CIAI (Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane). Questa sollecitazione è giunta in virtù di una tesi che lo stesso Maestro va esponendo da anni agli amici, anticipandola già in altro libro, edito nel 2016 con Prova d’Autore, intitolato “Occasioni. Spasseggio tra flussi d’incoscienza e momenti civili, politici e religiosi d’inizio terzo millennio”.

Sin dalla prima età adulta, infatti, aveva notato una curiosa distribuzione sul territorio dei natali di personalità destinate a distinguersi in vita e a essere ricordate, nel bene o nel male. Alcuni luoghi più di altri sembrerebbero racchiudere una strana “magia”, oggi mistero, forse un giorno spiegabile grazie ai nuovi probabili traguardi della scienza, magia che si traduce in una concentrazione nettamente superiore di native intelligenze (sarebbe interessante a questo punto se potessimo operare un ulteriore lavoro su base statistica per eventuali conferme).

Appurato ciò, resta da chiedersi perché. In questo libro qualche ipotesi è avanzata, ma in punta di piedi, forse per non urtare le intelligenze più scettiche o più distanti dalla conoscenze di alcune tra le più recenti scoperte della scienza quantistica, quelle che forse potrebbero spiegare alcuni fenomeni da restar basiti, come gli oggetti in fiamme nel paese di Caronia. Una delle ipotesi più digeribili un po’ per tutti è quella dell’emulazione, anche se qui s’è visto come non sempre soddisfi dal momento che ognuna delle genialità prese in esame è lungi dal fare il verso alle altre.

E poi ci sono le leggende metropolitane, che hanno del soprannaturale, e che, anche quando fanno sorridere, lasciano comunque affascinati. È il caso del mito della pietra dei poeti a Camuti (a Mineo), secondo cui la donna incinta che fosse seduta su quella pietra avrebbe infallibilmente partorito un poeta. E pare che gli antichi avessero tenuto il conto giungendo a questa tesi, avanzando qualche spiegazione appellandosi allo spirito di qualche poeta greco lì sepolto, dal momento che la pietra altro non è che la copertura ormai usurata di una lapide nel bel mezzo di una vera e propria necropoli oggi punto di interesse storico-artistico. Qualcuno dei più giovani dubita dell’esistenza di questa pietra leggendaria ma, oltre ad aver trovato in rete una fotografia di Giuseppe Bonaviri lì di fianco, lo stesso Mario Grasso, molti anni fa, vi era stato quasi in pellegrinaggio con alcuni amici, potendo vederla con i propri occhi. Resta chiaramente una leggenda, ma una leggenda che affascina e fa parte del nostro folclore.

I luoghi sono, senza campanilismi e in ordine alfabetico: Bagheria, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Corleone, Lentini, Linguaglossa, Mineo, Modica, Palazzolo Acreide. La Bagheria di intelligenze come quella di Ignazio Buttitta, di Renato Guttuso, di Ferdinando Scianna, Giuseppe Tornatore; la Chiaramonte Gulfi di Serafino Amabile Guastella; la Comiso di Gesualdo Bufalino, Salvatore Adamo, Salvatore Fiume, Angela Vona, Di Giacomo padre e figlio, Adalgisa Licalzi; la Lentini di Gorgia, Jacopo, Manlio Sgalambro e Sebastiano Addamo; la Linguaglossa di Santo Calì, Pippo e Senzio Mazza, Francesco Messina; la Mineo di Paolo Maura, Luigi Capuana, Giuseppe Bonaviri, Gino Raya; la Modica di Salvatore Quasimodo, Tommaso Campailla, fino alle più recenti esperienze del Caffè Quasimodo di Domenico Pisana e il Museo del Cioccolato di Grazia Dormiente e Nino Scivoletto; la Palazzolo Acreide d Antonino Uccello e Giuseppe Fava. Non ho che attuato, in questo elenco a volo di rondine, una scrematura dei nomi chiamati in causa da Mario Grasso, numerosi.

Ho lasciato per ultima Corleone per una considerazione a parte: questo della città passata purtroppo alla storia recente come mafiosa è stato forse il capitolo più delicato da scrivere; citando l’Autore, «se condanniamo chi ha sbagliato non dobbiamo e non possiamo maledire il luogo in cui costui era nato». Inciamperemmo nel baratro del pregiudizio, che spesso è una profezia che si auto-avvera, e dimenticheremmo di tutti coloro che invece si sono distinti nel bene, e non soltanto le vittime della mafia. Così leggendo questo libro ci troviamo a scoprire una sfilza di personalità del luogo dalle vite interessanti.

Che dire poi dei luoghi trascurati, in cui si potrà obiettare che qualcuno è pur nato, seppur in numero notevolmente inferiore rispetto a questa rosa di nove? Che dire dei grossi centro che fanno provincia, esclusi a monte? Si uscirebbe fuori tema, cadrebbe la tesi di partenza che vede sorprendentemente protagonisti i piccoli – piccolissimi – centri, senza contare il fatto che dove tutto è genio non c’è genio, così come dove tutto è mafia niente è mafia (scrive lo stesso Mario Grasso per mettere sull’avviso).

È un libro ricco di Storia che ci appartiene, che ci consente di conoscere meglio la Sicilia e il popolo siciliano, di conoscerci reciprocamente, in epoche che non possono che avere un’eco, seppur lontana, in quella attuale, o la cui riscoperta comunque ci rapisce, ora suscitandoci riflessioni profonde, ora divertendoci.

A titolo esemplificativo e a riprova del fatto che – come leggiamo in incipit – in Sicilia ogni testa è un tribunale, Mario Grasso ci racconta, per esempio, di un episodio verificatosi a Chiaramonte Gulfi negli anni di fine Ottocento e di insegnamento dell’allora professore Serafino Amabile Guastella. Alessio Di Giovanni, giornalista e autore a sua volta di poesia in siciliano, partendo da Agrigento, affronta un allora lunghissimo e insidioso viaggio attraverso le terre iblee per conoscere il tanto apprezzato autore di “Le parità”, fantasticando sulle fattezze fisiche dello scrittore in consonanza con lo spessore culturale che vi aveva ravvisato attraverso la lettura. Giunto sul luogo, al momento di vederlo spuntare in lontananza, ne rimane sconcertato dinnanzi alla bruttezza tanto da decidere di fuggire via senza nemmeno salutarlo. Episodio emblematico degli atteggiamenti spesso, tutt’oggi, esistenti tra siciliani. Ciò in contrasto con altro avvenimento simile, verificatosi – come ci racconta l’Autore – negli anni ’50 a Modica quando il vescovo e filosofo irlandese Berkeley si reca in visita nella città del cioccolato per incontrare Tommaso Campailla: non solo non si tirò indietro ma dovette poi constatare come una sola figura racchiudesse “due mostri, uno di natura, l’altro di ingegno e di dottrina”.

Tornando al Guastella, Mario Grasso – mano alla propria sconfinata e preziosa biblioteca – rintraccia le testimonianze di un ex allievo, fonte di racconti su stranezze igieniche da far accapponare la pelle: il prof. pare che, oltre ad avere sempre le dita sporche di tabacco e inchiostro, verso le undici era solito masticare acciughe le cui lische utilizzava come segnalibro, “anche se l’opera era di edizione pregiata”. E si potrebbe continuare, ma preferiamo rimandare il lettore al libro.

Il valore storico documentale apportato dalle fonti bibliografiche si accosta poi a quello proveniente da chi quelle esperienze le ha vissute in prima persona, da partecipante o da testimone (l’Autore stesso). Esempi ne sono la tesi di laurea in Lettere che una ragazza volle scrivere sulle particolarissime dediche che il bagherese Buttitta scriveva nei propri libri che omaggiava all’amico Grasso; o alla vicenda sul Premio Campiello 1981 conferito a Gesualdo Bufalino con “La diceria dell’untore”, finalista che allora solo il quotidiano La Sicilia diede per vincitore.

Per restare a Comiso, interessante la digressione sull’esperienza della Repubblica che durò dal 6 all’11 gennaio 1945. Quest’ultima è una storia ancor oggi forse da maneggiare con cura, perché qualcuno definisce ancora quell’esperienza come una parentesi fascista, altri la inseriscono nel più ampio movimento del “non si parte” che interessò tutta la provincia di Ragusa (e di cui la scrittrice Maria Occhipinti scrisse in “Una donna di Ragusa”), una ribellione nei confronti del richiamo alle armi in un momento storico in cui si era stanchi della guerra e la monarchia sabauda cominciava a essere vista come il nemico della pace. Come accade ancora oggi, da tutti gli schieramenti, destra e sinistra, non si esita a strumentalizzare a proprio vantaggio l’episodio, cosicché da Roma accusavano di tradimento alla Patria e da Salò partiva una decorazione con medaglia al valore della Repubblica Sociale.

Questo nuovo libro di Mario Grasso è come il paesaggio siciliano: da un chilometro all’altro cambia radicalmente, offrendoci lungo il tragitto sempre nuovi stimoli, nuove suggestioni, e di ritorno un’immagine della nostra terra come un mosaico variopinto, unico nel suo genere, ricco di contraddizioni e di fascino.

Giulia Sottile