I tempi tecnici della criminalità organizzata.
“Le dighe hanno sconfitto la mafia”. Così negli anni ’60 Danilo Dolci commentò la costruzione della diga sul fiume Jato, un gioiello idraulico, con uno sbarramento di soli 300 metri ed una capacità di 70 milioni di metri cubi. Però la diga fu realizzata nel territorio vescovile di Monreale, su un fiume che sbocca a Castellammare del Golfo. Difatti gli italo-americani della zona erano stati quelli che avevano organizzato lo sbarco del ’43, anno della diserzione dal regio esercito di un tale Badalamenti di Cinisi (Punta Raisi), che poi resse la “commissione” sino al 1978, anno dei contemporanei delitti Moro e Impastato. Invece la mafia aveva visto bene nel business dei grandi movimenti terra legati alle dighe, soltanto che poi le dighe, ovviamente, non ebbero più valori di analisi costi/benefici realmente positivi.
La storia si ripete. Con la vicenda Covid 19 le mafie mondiali sapranno ottenere ottimi risultati economici dalla crisi, in quanto dimostrano, da secoli, la capacità di adattarsi immediatamente ai cambiamenti. La lezione dei gattopardi è stata ben imparata dai boss. In questo si ha la compiacenza di influenti colletti bianchi, che sono ben felici di favorire chi è capace di ricambiare con certezza e munificità. Si passa dalla raccolta differenziata dei rifiuti, agli scarceramenti; da chi organizza carenze di mascherine (per far salire i prezzi), a chi sulla stampa lamenta l’esistenza di troppe leggi che rallentano gli appalti.
Cosa resta da fare a noi, esclusi (per scelta o incapacità) da questi grandi giochi economici di potere? Parafrasando l’appello di Papa Giovanni Paolo II che ad Agrigento gridò: “Uomini della mafia convertitevi!” Potremmo più modestamente suggerire: “Riconvertitevi!”, nel senso di cambiare lo scopo e le funzioni della vostra attività, cercando il bene dell’umanità, in un mondo che naviga verso un tremendo baratro, di cui l’emergenza Covid è solo “the tip of iceberg”. L’unica speranza di sconfiggere lo strapotere del mafiascismo è nella cultura, non più i maestri elementari di Bufalino, ma la grande cultura che viene relegata nel sottoscala della politica mondiale, perché non fa dormire i potenti.
Francesco Nicolosi Fazio