-Non è barocca?… E allora che cazzo è ?… Ma chi dice queste cazzate ? Il professor Lisbonesi, per il nervosismo, impresse alla sedia girevole uno schizzo che lo allontanò notevolmente dalla scrivania; il telefono cadde a terra e dalla cornetta rimastagli in mano, col filo teso all’inverosimile, la voce di Ciaicoschi arrivò da Acireale stirata, slungata: – Il solito. Quello che fa sempre discorsi sul metodo… Dice, appunto, che Acireale non è affatto una città barocca, e che la ‘barcaccia’ che lei vorrebbe mettere al centro di Piazza Duomo, a imitazione di quella di Piazza di Spagna, è un suo escamotage per dimostrare che qualcosa per Acireale, lei l’ha fatta… Ma lui la paragona al piccione che lascia l’escremento e vola via… Il professor Lisbonesi riuscì a pronunciare solo una parola, un ordine: innocuo, s’intende, perché irrealizzabile, ma densissimo di significato. Disse a Ciaicoschi: -uccidetelo!- -Via, professore, non s’arrabbi… Lei sa quanto quel nucleo di amici da lei recentemente acquisiti ad Acireale, e di cui mi onoro di esser parte, la stimi, e ne condivida l’estro e la dottrina…ma ascolti cosa predica l’amico nostro… al Municipio, ieri sera!.. -Forza, Ciaicoschi,… se può condensarmi il succo in cinque minuti… ho tra le mani delle incisioni da un’opera dello Swammerdamm sugli animaletti privi di sangue, e devo infilarle in una conferenza su barocco e bionica… sentiamo! -Lui dice testualmente: – Se è già temerario dimostrare che l’architettura e arti collegate, nella Sicilia orientale, e specificatamente quella di Noto, e di Modica, possa definirsi barocca, se pur annoverata dalla critica “regionalista” tra le “isole” e “centri minori”, per Acireale questo discorso è impossibile e pericoloso. Stasera siamo qui per prendere concrete iniziative per salvare gli affreschi di Paolo Vasta. Rigonfi di umidità, qua e là coperti di un bianco sudario di sale, orrendamente sbriciolati, solcati da devastanti lesioni, essi trascinano nel loro inesorabile disfacimento il genio, la passione, la luce di quel buon Pittore, del suo figliuolo Alessandro, di Vito D’Anna e di tanti altri che appartennero alla sua scuola. Ora noi potremmo esibire, in questo momento di delirio barocco dei politici siciliani, le ferite di Paolo Vasta, l’imminente pericolo di crollo della chiesa di s.Camillo, delle volte del transetto della Cattedrale, lo stato pietoso dei cento palazzi di via Dafnica, Galatea, Currò, Carpinati, san Biagio, entrando in sorda rivalità con Noto, che ha avuto la fortuna di subire il crollo di un’ala del Collegio dei Gesuiti. Ma se ponessimo il nostro allarme come “allarme barocco” compiremmo una stupidità culturale e favoriremmo l’intervento frettoloso. Dopo, dovremmo ammettere, come dice Zeri, che “nei monumenti restaurati si vedono spesso cose abominevoli”! Perché parlavo prima di delirio barocco? Perché hanno preso come anno zero il 1693, il terremoto, classificando come barocco tutto ciò che si è costruito per un secolo dopo quella data. Poiché i centri storici appaiono in massima parte ‘rivestiti’ con quelle affrettate esercitazioni stilistiche prese in prestito da Roma, tutto, proprio tutto, è servito a far girare un vortice di miliardi per ‘incolpevoli’ ripuliture di facciate, mentre non si sono affrontate questioni di metodo e non ci si è attrezzati per il restauro di opere – del Sei come del Quattrocento, o del Mille – di estrema delicatezza. Paolo Vasta, appunto. Nacque nel 1697, morì nel 1760… non è barocco? Non è manierista? Io credo che oggi l’emergenza numero uno, il grido di dolore ad Acireale sia per Paolo Vasta. Il fatto che la sua opera è innanzitutto affrescata lo rende antipatico ai “custodes huius provinciae”. Comunque, Paolo Vasta non è barocco. E il Municipio, iniziato nel 1650, ricchissimo di mostri negli stipiti e negli architravi? E san Sebastiano, piatta e caricata all’inverosimile di maschere, di puttini, di lacerti classici? No, non sono barocchi, non sono, come dice il Milizia, “ stravaganze con l’aggiunta di ondulazioni, d’incassature, di projetti, d’aggetti sopra projetti entro incavi di mistilinee e di acutangoli”. Né sono bizzarri, nel senso spagnolo di barocco. Essi non sono neppure il segno di spiriti innovatori che sgusciano via dal terrore della Controriforma. Sono gli eterni amuleti della tradizione mediterranea, i genuini “custodes huius urbis” ma sono soprattutto lo sfolgorìo di un vero Rinascimento, compresso quanto si vuole, giocato silenziosamente in casa, in mezzo a mille difficoltà, gelosamente protetto. Basterebbe leggere i documenti d’archivio dell’Aci del XVI secolo, raccolti in capitoli facilmente leggibili da V.Raciti Romeo, per capire come, se ad Aci la peste non arrivò non fu solo per fortuna. Ma la paura era tanta. Paura di essere venduti, violentati, derubati. E la paura, miscelata ai ducati e alle merci, eccitava la fantasia. Ecco un Rinascimento tutto da studiare. Un Rinascimento che continuò, atipicamente, per secoli. La città, presa da problemi ben più importanti e concreti e stimolanti, non si dotò di piazze e vie secondo i dettati regolistici e trionfalistici. Essa predilesse, in epoca barocca, una buona edilizia, ricca ma agile, un’edilizia moderna per l’artigianato, il commercio. Prova ne sia che la città rimase esattamente dov’era anche dopo il terremoto. È nostro interesse, quindi, non omologare tutto in quella matrice “barocca” che impedisce di comprendere come il patrimonio da salvare sia ben più grande, ma anche più vulnerabile, più intimo e arcano, ma anche più irripetibile, dell’ammasso ‘barocco’ che serve per dar quattrini a improvvisate ditte di restauri e a disinvolti critici. -Ha sentito tutto, professore..? – Ciaicoschi, e se creassi per Piazza Duomo un motivo geometrico quattrocentesco, all’Alberti…?
Racconto scritto nel 1991
Nella foto: Nascita di Maria, affresco di Pietro Paolo Vasta, chiesa di s.Camillo