Una proposta per superare il fallimento di Glasgow.
Le fabbriche chiudono in Italia e si spostano in Polonia. Le aziende hanno più utili da: minori tasse, salari più bassi ed energia a basso costo. In particolare in Polonia, grazie al carbone, il risparmio sull’energia determina la maggior parte dei risparmi/utili. Se la Polonia dovesse rinunciare al carbone, dovrebbe pure rinunciare alle industrie “conquistate” a spese degli operai di altre nazioni UE. Il capitale potrebbe di nuovo “delocalizzare” in Cina, in India o in Australia, dove il carbone è gratis. Ecco che nessuno dei produttori di carbone, anche all’interno dell’UE, vuole ridurre il suo uso, questo forse anche oltre la fatidica data del 2030, titolo della omonima “Agenda ONU”.
Al problema del carbone si aggiunge quello di quasi tutti i c.d. “paesi in via di sviluppo” che non hanno proprio intenzione di rinunciare al “loro” sviluppo, che si traduce semplicemente con il costante incremento di consumi di energia non rinnovabile. C’è da capire questi popoli che un tempo erano “terzo mondo”: per loro è come se, invitati all’abbuffata capitalistica, arrivati alla fine del banchetto, devono pagare il nostro conto e ripulire la sala da pranzo. Senza aver mangiato.
Il fallimento di COP 26 a Glasgow è determinato dal fatto che i governi veramente sensibili alle tematiche ambientali rappresentano circa un decimo dell’umanità; impossibile agire in modo concreto mediante la sola riduzione delle emissioni di meno di un quinto dei consumi energetici.
Bisogna invece aggiungere, alle limitazioni, progetti ambientali che creino occupazione, proprio nel “terzo mondo”. Gli interventi a minor costo e maggior effetto possono essere quelli del recupero delle aree umide e della creazione di bacini idrici, anche a tutela dalle ondate di piena. Per la prima tipologia di progetti da anni propongo il recupero delle aree umide del Nord Sahara, partendo dal Chatt tunisino. Il progetto, presentato alla RAI, potrebbe ricreare un immenso polmone verde, analogo alle aree verdi equatoriali, i cui benefici si sentirebbero nel clima e nel livello degli oceani.
Francesco Nicolosi Fazio