SFUMATURE di Flora Somma

collezione Centovele

con prefazione di Francesca Taibbi

anno 2013

pagg.72

ISBN 978-88-6282-115-5

(:::) … Sfumature, chiaro riferimento a quel dolce confondersi di colori verbali e percettivi che si dissolvono fino a divenire volontariamente imprecisi, nei ricordi e nei versi. Leggerezza dunque come sottrazione dai carichi linguistici, linearità espressiva finalizzata al superamento di giochi retorici, al fine di centrare l’attenzione del lettore e contemporaneamente della stessa “autrice -lettrice di se stessa” (forse non consapevolmente, in una ricerca di verità ineluttabili da mettere in discussione) sulla preponderante carica emotiva di cui sono permeate le sillabe. L’agile vaporosità linguistica di cui abbiamo parlato finanzi, si contrappone così ad una sensorialità caleidoscopica, a tratti cupa (“Folle gelosia. / Mi rende vittima / e artefice di tormenti. / Non mi lascia mai libera. / La notte offusca i pensieri / incendia gli occhi / apre ferite / mentre lacrime solcano / il viso bianco / troppo stanco.” Lirica 41), in cui il tramite fondamentale diviene lo sguardo, centro nevralgico propagatore di sensazioni e pulsioni, elemento trasmigratorio e fortemente evocativo. Lo sguardo ritorna spesso in questi versi (“In mezzo a tanta gente / confusione, rumori, suoni lontani / è difficile proceder e sviare uno sguardo” Lirica 7, “Sguardi nudi” Lirica 8, “Sfuggo al tuo sguardo” Lirica 11, “Sguardo perso nel vuoto / Quasi non riuscissi più a percepire alcun colore / Un ricordo congelato / entro un cuore che brucia e si consuma. / Cuore caldo il mio / occhi spenti i tuoi.” Lirica 12, “Guardarti davvero per la prima volta” Lirica 31, tra le altre) ma l’elemento visivo non si traduce solo in occhi e sguardi. Altro elemento fortemente connotativo è la presenza di componenti che questo sguardo lo negano: le ombre (“Ombre / riflesse su pareti / su strade vuote. / Ombre che mai mi abbandonate.” Lirica 26), le maschere (“ritorno alla maschera… / la mia da indossare.” Lirica 1), gli specchi-schermo (“Eccoti lo specchio / con le mie paure” Lirica 3). Sono superfici che celano, che mascherano, con il loro stesso riflesso, i timori, le ansie, le “cicatrici invisibili” (Lirica 3), ma anche i sogni, rinchiusi in “Scatole di cartone / in angoli poco illuminati. / Scatole vuote / ma pesanti. / Scatole che hai chiuso, con attenzione / che non vuoi più aprire, / ma sono sempre al solito posto.” (Lirica 9). Tale senso di costrizione spesso non riesce a infrangere le barriere imposte dalle gabbie sociali di pirandelliana memoria (“La vita è palcoscenico. / Maestosi eleganti i tendoni rossi: / puoi indossare la maschera / […] / Chiuso il sipario / ognuno tornerà alla vita di sempre.” Lirica 5) e fa scorgere, in alcuni versi, la presenza di un temibile nemico interiore (“Ma quando il nemico, non è di fronte / ma dentro di me / come fa a odiarlo, cacciarlo, distruggerlo?” Lirica 6, “Figlia dei miei ricordi / sono l’ultima /sopravvissuta.” Lirica 48). Le quinte teatrali su cui la protagonista -poetessa si muove (inutile negare la componente fortemente intimistica e autoreferenziale degli scritti) sono così dei mondi interiori smembrati nei loro costituenti essenziali e successivamente ricomposti. A questo non-mondo reale fa da contraltrare un universo fisico caratterizzato da una natura invasiva, che permea e si fonde con ogni sfaccettatura dell’io dell’autrice, diventando parte integrante del suo sentire (“Piove. / La pioggia riga il mio viso / mi lava / mi appartiene.” Lirica 14) o insinuando il dubbio di una estraneità non solo con l’ambiente circostante, ma forse anche con se stessa (“Distesa su un campo verde / circondata da colori / i fiori mi osservano… / … sono la straniera?” Lirica 15). Il gioco di frammentazioni e di ricomposizioni dell’io lirico è sia visivo che sonoro, come nella Lirica 10 (“Pezzetti di luna, / distanti uno dall’altro”) o nella già citata Lirica 7 (“confusione, rumori, suoni lontani”), e rievoca quel “vuoto delle attese” (Lirica 54), spesso taciuto, che sembra essere lo sfondo ideale su cui si stagliano i numerosi non-detti dell’autrice, tra cui quella “Felicità a piccole dosi” (Lirica 35) che consegna “A ognuno il suo foglio bianco” (Lirica 19).(Francesca Taibbi)

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