Le auto elettriche pericolo per l’ambiente.

 Al salone dell’auto di Parigi le speranze dei costruttori è stata nelle auto elettriche, che impiegano poca manodopera e costano tanto, a noi. Invece che investire nella mobilità sociale sostenibile (treni, tram, metropolitane) si spaccia per scelta ambientalista la commercializzazione delle auto elettriche. Inoltre l’Europa favorisce i benestanti (come mai?), finanziando l’acquisto di costosissime auto, che ben oltre il 50% degli italiani non potrà mai possedere. Ma anche questa demenza UE è facilmente stigmatizzabile con semplici considerazioni ambientaliste.

Partiamo dall’incremento dell’inquinamento grazie alle auto elettriche. Caricare le batterie elettriche presuppone la creazione di energia elettrica. Questa, per giungere alla colonnina, dovrà prodursi nelle esistenti centrali elettriche, dovrà poi percorrere decine di chilometri, per arrivare alla colonnina, per essere accumulata nelle batterie che finalmente metteranno in funzione il motore (di piccoli veicoli, dopo alcune ore di carica, per dare modesti tragitti, non climatizzati). Nei cinque passaggi, tra il carburante delle centrali ed il motore, si prevede uno spreco prossimo al  75% del potenziale energetico iniziale. Fermo restante che le centrali, a monte, inquinano.

Ma lo spreco antiecologico non è l’unico problema: le batterie hanno vita breve e sono costosissime. Perché contengono fino a 30 kg di Cobalto e quasi 5 kg di “Terre Rare”. Ancora più costoso è il loro  smaltimento. Con un impatto ambientale enorme, anche per la loro produzione. Basti pensare che per ottenere qualche grammo di “Terre Rare” bisogna scavare centinaia di tonnellate di materiali che creano un impatto enorme nei paesi di produzione (a casa loro!).

Tra questi paesi ci sono il Congo (dove sono in corso guerre tribali, finanziate dagli speculatori) ed il Donbass, dove la guerra è addirittura ufficiale, tra Russia ed Occidente. Un tempo si uccideva per il petrolio, oggi si uccide per il Cobalto e le Terre Rare. Tutto merito del “libero mercato”.

                                                                                              Francesco Nicolosi Fazio