Per la cenere dell’Etna, agire secondo natura
“Piove oro!” Le piogge di fine inverno erano definite così dal padre di Giufà. Prendendo alla lettera la definizione paterna, il saggio/stolto personaggio della tradizione siciliana svuotò le giare dall’olio e le riempì di “acqua di cielo”. Viene da pensare alla storiella di Giufà, vedendo l’insistente pioggia di cenere che ricopre l’area etnea, con propaggini sino a Palermo ed in Calabria. I fertilissimi terreni della Sicilia orientale lo sono in virtù della presenza di sabbie vulcaniche al loro interno. Invece, come accade nella società dei consumi, questa risorsa è diventata un problema. La cenere etnea, appena viene a contatto con le superfici degli spazi pubblici diventa fonte di emergenze ed appalti.
All’interno di un più ampio progetto per il recupero dell’area pedemontana etnea, esiste un sotto-progetto per il riutilizzo della cenere dell’Etna. Mettendo insieme due problemi si ottiene una ottima risorsa. Difatti se si miscelano opportunamente i rifiuti da giardinaggio con la sabbia dell’Etna (controllando la percentuale di fluoruri, causa di disturbi ad ossa ed articolazioni) si produce il miglior terriccio sul mercato, che raggiunge il valore di circa 500 euro la tonnellata, mentre oggi se ne spende circa un centinaio per lo smaltimento, quando avviene.
Bisogna ricondurre l’attività umana all’interno dell’ambito della natura. I meravigliosi boschi etnei, che un tempo giungevano sino alla città (un tempo nel quartiere “Barriera del Bosco”, oggi ancora alla “Cittadella”) crescevano grazie alla “sapiente” miscela naturale tra sabbia ed organico, terreni freschi, ricchi e ventilati, da cui si produceva anche un vino che, per la forte presenza di ferro, era dato come medicina nei sanatori tedeschi. Recuperando territorio e tradizione si potrà dare un futuro ai giovani. Come vorrebbe la “Next generation UE”. Ma lo vogliamo anche noi?
Francesco Nicolosi Fazio