Lo sciare silente delle auto in corsa incornicia la pioggia che cade sulle tegole, sui tettucci delle auto parcheggiate a beffa di chi è in viaggio, sulle foglie sballottate, cade sulle ringhiere dei balconi contro cui tintinna come monetine. Sembra il cielo una sacca forata, di uno scassinatore di macchinette della Sostare. Per la sosta della vita. Che torna a noi per intercessione di qualche idratante prometeo.

Lo smartphone prova invidia, cerca di entrare nel silenzio, nella pioggia, di entrare nella tua testa per strapparti a quel pezzo di vita che una volta tanto non guardi con gli occhi dell’immaginazione, della fantasticheria, ma vita che senti sul corpo, quando improvvisamente ti tocca, ti ricorda che sei fatto di carne e sangue, che un brivido può solleticarti il collo e un crampo romperti il sonno.

Allunghi la mano con un abituale gesto, automatico mentre pensi ad altro, come quando respiri e te ne scordi. Vedi le tue dita alternarsi prim’ancora che lo facciano, così hai il tempo di ritrarre la mano bruciata. Fai un tira e molla perché sai dove sei andato a finire, quoque tu. Quello ti parla in serpentese, tu lo capisci e ne sei attratto, ma al contempo ti accorgi che è assurdo.

Lo smartphone non è un horcrux, ma tu ti senti ugualmente un eroe, che combatte contro qualcosa. Ti gongoli mentre decidi di lasciarlo lì a sussurrare piano mentre torni a sentire la pioggia. Ti accorgi che piove da tutto il giorno ma ci stai facendo caso solo allora. Sei un cretino. Tu con le tue monetine della Sostare, perché anche il tuo estro è plasmato con le forme di questo mondo fatto di parcheggi a pagamento. Eppure da questo è lecito fuggire, inventando qualcosa di sciocco, come una sacca forata. Quando le mie dita si alternano non tollero di non sapere da cosa fuggo perché ho il terrore che io fugga da me.

 Lui è ancora lì chiuso nella sua cover nuova che lo copre come a nasconderlo, zittirlo. Sento il suono di una portiera chiudersi e qualcuno torna a casa per continuare a fuggire da un’altra parte, da altra prospettiva. La pioggia ha smesso di cadere e gli uccellini sembrano dire venite fuori ch’è tutto finito. Ma è il tempo d’un saluto, mentre una signora grida a tavola!

Se le cover avessero un catenaccio al posto della chiusura magnetica, prima di aprirlo, mentre lo apriamo, magari presi dalla pigrizia, ci penseremmo più volte.

Giulia Sottile