Traffici fossili.
Catania anni ’70. Un imprenditore si recò a Genova, presso la sede italiana di una compagnia petrolifera internazionale, per concordare l’acquisto di un distributore nella città dell’elefante, struttura che godeva della concessione della compagnia che, emblematicamente, aveva come simbolo un “fossile”. La trattativa sembrava giungere a buon punto, quando il rappresentante della multinazionale chiese all’imprenditore: “Ma lei lo sa che i distributori prendono fuoco? Lei come si assicura?” L’imprenditore disse che voleva appunto impegnarsi sia sul fronte della sicurezza d’impianti, che mediante la compagnia di assicurazioni che avrebbe indicato chi deteneva il marchio. Dopo altri ripetuti riferimenti a pericoli ed incendi il manager, alla fine, fu esplicito: “Ma lei non lo sa che per avere un distributore bisogna mettersi a posto con la mafia?” Erano gli anni in cui fu condannato un comandante generale della Guardia di Finanza per contrabbando di petroli.
Oggi il Comandante Generale della Guardia di Finanza (anch’egli dal cognome siciliano) ha guidato personalmente una indagine molto complessa che ha smantellato una rete mafiosa, estesa a gran parte della nazione, che praticava il contrabbando di carburanti, grazie al controllo del territorio e della distribuzione dei derivati dal petrolio. Oggi lo Stato sta dalla parte giusta.
Proprio negli anni ’70 Pasolini stava per chiudere il suo romanzo “Petrolio”. Fu ucciso senza poterlo completare. Il tribunale dell’epoca (un tempo chiamato “porto delle nebbie”) condannò un giovane che si accollò l’intera vicenda, sentenza con caratteristiche di incredibilità che rimandano alla prima sentenza del processo per la strage Borsellino.
Oggi il petrolio, prodotto giustappunto “fossile”, non è tanto di moda. La mafia sta da tempo allargando gli interessi sulle energie rinnovabili. Le indagini sul settore non impiegheranno altri cinquant’anni per giungere alle conclusioni già emerse.
Francesco Nicolosi Fazio