Una, cento, mille Brexit.
Sul finire degli anni ’60 i Beatles aprivano la loro “All we need his love” con le note della Marsigliese. Era uno sfottò a Charles De Gaulle, che si opponeva fermamente all’ingresso della Gran Bretagna nell’allora CEE. Il presidente francese aveva tutte le ragioni per difendere la Francia e L’Europa dalla pericolosa alleanza, con quella che Mussolini chiamava la “Perfida Albione”. La tragica pantomima della Brexit riabilita lo statista francese. Siamo sicuri che, da lassù, Charles De Gaulle abbia tifato ed esultato per l’Italia vincitrice degli europei.
Lo “spirito” britannico è emerso la sera della finale europea. Un popolo molto ben rappresentato dal discendente da qualche buffone di corte (Boris), ha fatto vedere in mondovisione il suo valore: aggressioni agli italiani; il pubblico ha fischiato l’inno di Mameli; la regia TV inglese indugiava sulle immagini che rimarcavano i giudizi arbitrali favorevoli e sulle poche buone pallonate inglesi; nessuna ripresa dell’invasione di campo; il pubblico ha disertato la premiazione; i giocatori inglesi hanno tolto, tutti, la loro meritata medaglia d’argento. Immediatamente sui social sono apparse frasi indicibili contro i tre ragazzi di colore che non hanno segnato i rigori. Uno stupido razzismo, anche perché l’allenatore inglese non era riuscito a trovare di meglio tra i “white”.
Siamo fortunati che, tra Europa e GB, le strade si siano divise. Una nazione che vive di finanza (80% del PIL) e “movimenti” finanziari (anche vaticani), pensa di poter vivere solo di speculazioni, credendo che potrà comprare dall’Europa, al prezzo che vuole, tutto quanto ha bisogno. Oltre a perdere la finale, il Regno Unito ha perso di credibilità internazionale, mostrando il suo vero volto.
Francesco Nicolosi Fazio