Locuzioni-metafora in latino a confronto con attualità in merito ad artisti e opere d’arte
nella città del mito di Aci e Galatea

Con il Vangelo di Matteo leggiamo un latino tardo; tuttavia non sarà l’appulcrare sull’epoca di una scrittura che toglierà efficacia al significato di locuzioni come Veni vidi vici, o alle ciceroniane Usque tandem Catilinae, Aliud est accusare, aliud est maledicere, etc. La citazione del Vangelo di Matteo (VII, 6) soccorre con qualche precedenza, perché la frase viene dall’Evangelista attribuita a Gesù Nazzareno: Nolite dare sanctum canibusneque mittatis margaritas vestras ante porcos” (Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci*). Per quanto possa predominare laicità in chi la ripete, resta il fascino di una sentenza dai significati che, proprio perché sarebbero stati espressi da Gesù, fermano con singolare effetto l’attenzione, anche se le varianti con cui la locuzione originaria viene pronunciata sono tante e spesso se ne ignora l’origine. Certa rimane la perennità della metafora e il suo altrettanto perenne e solenne ammonimento. Tutt’altro che rare le occasioni delle perle offerte ai maiali, anche se dobbiamo ammettere che il rinvio ai porci converrà comunque addolcirlo perché la verità offende e si può guadagnare una querela con tutte le conseguenze giudiziarie che ne seguono. E per scongiurare tale pericolo, ecco un’altra frase latina che dobbiamo a Tito Livio. Absit iniuria verbis. Tutto, a farci ben caso, si riduce alla forma.

2. Asinus asinum fricat: ed ecco altra occasione di trionfante latino. Il Renzo manzoniano chissà come lo definirebbe nei nostri giorni! Se quella volta si era spinto a chiamarlo latinorum, probabilmente, adesso ricorrerebbe a qualche anglismo. Chissà! Certo che per l’asino che si strofina con l’asino l’offesa non è che sia da classificare inferiore a quella delle margherite ai porci! A noi è capitato e spesso capita di sentirci gratificati di asineria da intendere come affinità di idee o gusti o letture. “Caro Mario”, mi ripeteva spesso il compianto amico Pietro Barcellona, “tu mi somigli!”. E aggiungeva “Asinus asinum fricat”. Consuetudine che in occasione dell’onore che mi ha elargito di occuparsi di mie scritture scrivendo anche di me su La Sicilia, non si è peritato di ripeterlo a “scripta manent”. E cosa dire? Dire che l’importante è non montarsi la testa. Anzi esorcizzare sia il significato offensivo nella lettera quanto gratificante nella generosità di una allegoria, praticando l’uso della frase: Asinus asinum fricat. Vittima di questa tentazione di attribuire momenti di affinità di tendenza, di qualche gusto e tenacia, abbiamo provato a destinare un amico di sempre, di pochi anni meno carico di me, Turi Sottile, pittore e artista dalle molteplici inclinazioni che, anche se minori rispetto a quella magistrale della pittura che lo fa riconoscere in Italia e all’Estero tra i rappresentanti di prim’ordine delle Arti figurative, non ha potuto celare agli amici le sue poesie e le sue scritture letterarie.

3. La stima e l’amicizia con Turi Sottile ci suggerisce altra frase latina: Artibus non licet captivatio (Alle arti non si addice la prigione). Anche stavolta la metafora domina sulla lettera. Infatti la libertà di espressione che vogliono le arti, tutte le arti, viene celebrata dal latino con una forte immagine retorica. Alle arti non è lecita la limitazione di libertà (captivatio = prigione). E potrà sembrare una frase che quella remotissima volta venne scritta per ammonire proprio Turi Sottile. Un caso in cui la realtà supera ogni fantasia. Sottile, infatti, negli anni in cui padre Catania era cappellano del carcere di Acireale, venne invitato dal compianto popolarissimo sacerdote a realizzare un murale per la cappella dove si celebrava la messa per i detenuti. Turi non se lo fece ripetere e, con quella singolare generosità di artista che lo continua a caratterizzare, dipinse il murale, diremo meglio scaldò e animò la parete nella parte finale del corridoio adibito a cappella, un capolavoro di arte**. Trasgredendo la infallibilità della sapienza latina per due volte: una perché in un carcere, quindi nel significato alla lettera di “luogo chiuso”, e l’altra nella palese valenza metaforica. E questo per tacere altra sentenza inappellabile, sempre codificata in latino e contenuta nel Vangelo. In realtà a quelle del carcere si può rimediare a vista: basterà trasferire tutto l’ingombro di materiali ammonticchiati che impediscono la vista del murale. Altre soluzioni, tipo trasportare altrove l’intera parete, o ipotesi di improbabili attuazione, ciurlando nell’arte retorica del dilazionare, aggiungerebbe il nuovo caso a quello dell’annoso debito della civica amministrazione acese verso l’Artista concittadino. Ostentando il ripetersi del continuare a rimuovere una concreta occasione celebrativa del ricordo di altro acese, Umberto Barbaro, per meriti diversi rispetto a quelli di Turi Sottile; ma i meriti, quando ci sono e brillano di luce propria, non possono essere discriminati, né rimossi, perché si tratta di “Margheritas” dell’unico genere additato quella volta da Gesù, come testimonia il Vangelo di Matteo. Conosciamo per chiara fama l’attuale direttrice della Casa circondariale di Acireale, e siamo fiduciosi a favore della rapida soluzione con la “scarcerazione” del prezioso murale. Il resto, cioè quanto si deve, e di già promesso all’Artista concittadino, promesso e fino a oggi inspiegabilmente disatteso, dalla civica Amministrazione, si auspica non debba finire classificato con la locuzione da far precedere, per prudenza, da un “Absit iniuria verbis.”

(Mario Grasso)

* La frase allude a un’esortazione di Gesù che si trova nel vangelo di Matteo (VII, 6): “nolite dare sanctum canibusneque mittatis margaritas vestras ante porcos” (la cui traduzione è “non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci”.

** L’immagine riproduce il murale  realizzato da Turi Sottile come è attualmente sulla parete che chiude il corridoio e che era la parte adibita a cappella della Casa circondariale.