Lavorare meno, lavorare tutti.
Duecentocinquanta anni fa gli illuministi già individuavano, nella tripartizione della giornata, un modo di vivere umano: otto ore di lavoro, otto di riposo, otto di svago. Soltanto duecento anni dopo (1970) si giunse, nei paesi occidentali, ai contratti di otto ore lavorative. Da mezzo secolo il dato non si è ridotto, anzi spesso si superano le otto ore lavorative, con non rari casi di quasi schiavitù. Le nuove tecnologie sono state un elemento di arricchimento solo per gli imprenditori, senza benefici per i lavoratori. Anzi, negli anni ’70, con otto ore di lavoro, uno stipendio bastava, oggi due stipendi non bastano più. Il conto non quadra, per i lavoratori. Lo dice anche il Papa.
In Italia giacciono inutilizzati, nei conti correnti, oltre un miliardo e seicento milioni di euro. Essendo somme prelevabili all’istante, le banche non possono fare conto su di esse per finanziare le imprese e neanche il debito pubblico. Enorme è l’incremento di questi depositi durante l’attuale pandemia, la paura e l’impossibilità di spendere hanno fatto crescere a dismisura le attitudini al risparmio delle formichine italiche, inoltre si prevedono licenziamenti, per cui le auspicabili nuove assunzioni saranno a stipendi sempre più decrescenti. Di questa insicurezza ne pagano le conseguenze, indirettamente, proprio gli imprenditori, che vedono ridursi i fatturati.
Ai capitalisti del mondo suggeriamo di risparmiare un po’ ed aumentare gli stipendi ai dipendenti: ridurre di qualche decina di auto la collezione di fuoriserie, potrebbe dare benefici al mondo intero; le stesse somme, in mano ai semi-poveri dipendenti, potrebbero far rilanciare l’economia, dando fiducia nel futuro. Poi si potrà anche ridurre il totemico PIL, ma con la giusta mercede agli operai. Anche la lotta per l’ambiente ne beneficerebbe, perché il modello solo espansivo non è più sostenibile. “Lavorare meno, lavorare tutti” potrebbe salvare il pianeta. Per molti aspetti.
Francesco Nicolosi Fazio