Al Municipio di Catania c’è un quadro del 1861 dipinto da Giuseppe Sciuti e raffigurante una donna che è stata talmente importante per la storia della Sicilia da intitolarle una strada in pieno centro storico. Il suo nome era Giuseppa Bolognani, più nota come Peppa “la cannoniera”. In una terra ai margini geografici dei galatei e degli stereotipi cari a gran parte delle civiltà europee, una eroina non poteva essere una mater matuta o un angelo del focolare, tanto più se vissuta in epoca di fermenti rivoluzionari.
Peppa nasceva infatti nel lontano 1841, da una relazione extraconiugale tra una ricca borghese di Messina e un commerciante di agrumi. Il marito della signora si assentava per lunghi periodi e dovevano far sparire la neonata entro il suo ritorno. Così, in braccio a una cameriera, con supplemento di corredino e borsa di denaro – quel tanto per venire in soccorso alla coscienza – la spedivano in campagna, lungo strade impervie, in un paesino sperduto dei Peloritani, Barcellona Pozzo di Gotto, dove una famosa balia sarebbe stata ben contenta di barattare un seno con il denaro, nell’attesa che la nuova inquilina avesse forza sufficiente per lavorare. La alternativa era la ruota. La nutrice molto probabilmente portava il nome Giuseppa Bolognani perché pare non abbia impiegato molto a scegliere quello della bambina non ancora battezzata, destinata a essere una qualsiasi tra le sventurate bocche da sfamare.
Peppa cresceva con un chiodo fisso, il pensiero ricorrente tipico dei bimbi adottati in tenera età: se farò la brava, mamma e papà saranno orgogliosi di me e torneranno a prendermi! Mamma e papà non si accorgeranno mai di lei, per la quale però l’aggettivo brava è eufemistico stando alla storia. Compiuta l’età per comprendere gli ideali antiborbonici, intraprendeva un percorso che univa la causa rivoluzionaria al desiderio di rivalsa. All’occasione di dimostrare il proprio coraggio univa il sogno di avere una propria famiglia e si innamorava di Vanni.
Nel marzo del 1960 Francesco Crispi è a Catania; un mese dopo i comitati rivoluzionari di Palermo danno il via a una rivolta tristemente repressa nel sangue. Ma si è soliti dire che perdere una battaglia non corrisponde a perdere la guerra, così qualche giorno dopo è il turno di Catania: il popolo invade piazza degli Studi, la polizia borbonica costringe a una ritirata e i ribelli si rifugiano ad Adrano, dove si riorganizzano. Lo sbarco dei Mille a Marsala ravviva gli animi e dà il segnale. Mentre, dopo la vittoria a Calatafimi, Garibaldi entra a Palermo, il battaglione di Adrano si sposta a Mascalucia e il 31 maggio insorge Catania: tutte le campane della città dell’elefante iniziano a suonare e il popolo si riversa nelle strade come un fiume in piena.
Peppa portava i messaggi ai comitati rivoluzionari segreti, ma il destino voleva procurarle quell’occasione agognata di rivelarsi alla vita. Il momento era drammatico: arrivavano cannonate borboniche dal Castello Ursino, da un lato, e da una nave cannoniera ormeggiata al porto, dall’altro; i lanceri avevano raggiunto porta Uzeda. Alcuni marinai avevano rubato un cannone e cercavano di posizionarlo davanti al Palazzo Biscari per la controffensiva. Tra la goffaggine dei marinai e l’avanzata dei lanceri, nel panico generale, Peppa, accorsa, prende in mano la situazione: si impossessa del cannone, strappa il sacco con le polveri all’artigliere e dà fuoco. Il cannone spara solo al secondo tentativo, quando l’esercito borbonico le è quasi addosso.
La storica Maria Sofia Messana, in “Siciliane”, scrive: «In una nuvola di fumo si vedono rotolare a terra uomini e cavalli. Un grido di vittoria squassa l’aria». È una finta vittoria, perché i Catanesi devono far retro-front. Messo in salvo il cannone, Peppa torna indietro a recuperare l’amato ma per lui era troppo tardi.
Le soddisfazioni per Peppa giungono con il trionfo del ’61 e l’istituzione della Guardia Nazionale di cui farà parte in qualità di caporale d’artiglieria e sarà nota, per i meriti acquisiti, come “la cannoniera”. Sorvolando sull’umanità dell’eroina che rischia di svilirla al momento di vederla ancora speranzosa che, in divisa, i genitori biologici, peraltro chissà dove e probabilmente divisi, la riconoscano e siano orgogliosi della figlia; passano alla storia altri episodi che ci lasciano in eredità una Peppa impavida, come la cattura di un pluriomicida sfuggito durante un trasferimento di prigione, episodio che le farà concedere una pensione a vita.
Il lieto fine manca, perché con l’annessione della Sicilia al Regno di Piemonte la Guardia Nazionale viene sciolta, Peppa si dà all’alcool e al fumo, si ammala e si indebita. Negli ultimi anni della sua vita ritrova alcuni compagni di gioco dei tempi di Barcellona e viene accolta in casa da una vecchia amica. La morte la coglierà in ospedale, il 20 settembre del 1900, a chiudere un secolo di aspettative, di cui non arrivava a vedere la loro disattesa. Di lei restano un quadro e via Peppa la cannoniera.
Giulia Sottile