Una “lectio magistralis” il discorso di Mattarella.

Era dai tempi di Aldo Moro che un discorso al parlamento non era così ricco, anche di termini non consueti. Sergio Mattarella, ultimo erede della linea politica morotea, con una “Lectio magistralis” ha giustamente riscosso ben 55 applausi dai mille c.d. “grandi elettori” che, confrontati al riconfermato presidente, risultano essere uno sterminato multiplo dei più celebri “sette nani”.

Se lo statista pugliese riusciva a smuovere un’Italietta già micragnosa e tornacontista con invenzioni lessicali ardite – una su tutte: le “convergenze parallele” –, il riconfermato presidente mi ha personalmente colpito con il termine “inveramento della democrazia” che, unito all’aggettivo costante, era proprio rivolto ai “peones” (tutti) che lo applaudivano. Inverare vuol appunto dire: far vera qualcosa. Nel caso in essere: la democrazia, che, sembra chiaro, in Italia vera non è. Per colpa proprio dei plaudenti traffichini di senato, camera e regioni. Sembra proprio che la prossima elezione del presidente la farà il popolo, per la semplice considerazione che i circa 60 milioni di italiani sono più disinteressati dei mille “rappresentanti del popolo italiano”.

Tornando a Moro, ad oltre quarant’anni dal suo omicidio, possiamo affermare che sarebbe stata ben altra Italia quella che lui aveva in mente. Ma la congiura di terroristi, servizi e mafia ha quasi del tutto cancellato i più attenti politici dell’epoca: Moro, Pier Santi Mattarella, Vittorio Bachelet, ma anche Ezio Tarantelli e Rino Nicolosi, in altri modi eliminati. Se le cose vanno male in Italia è colpa anche del terrore che ha stravolto la democrazia, ancor oggi poco “inverata”.

Francesco Nicolosi Fazio