Trump vince la guerra dei Dazi

Lenin sosteneva: “La rivoluzione non è un pranzo di gala!”. Brecht chiedeva: “E’ più criminale rapinare o fondare una banca?” Tra rivoluzione e capitalismo ha stravinto quest’ultimo che governa il mondo, certamente in USA, ma anche in Cina. Il recente accordo tra i due colossi mondiali, con 200 miliardi di dollari di merci USA da vendere alla Cina, offrirà ulteriori spunti alla esplosiva economia americana, con un accordo che non ha alcuna attinenza con il c.d. “libero mercato” ipotizzato dal WTO; l’accordo risulta invece una sorta di “dumping” inverso, i cui effetti negativi saranno in gran parte a scapito dell’Europa e dell’Iran, perdendo entrambi un notevole sbocco alle merci e al petrolio.

Trump risulta vincente perché gestisce la sua nazione come una azienda (quando liquida un ministro gli apostrofa il celeberrimo “you are fired!”) e dimostra il succo della sua “diplomazia”: “America first!”. Ora le “attenzioni” daziarie di Donald saranno rivolte all’Europa, contestualmente colpita dalle inevitabili minori vendite alla Cina. Non è da escludere una “proposta” europea per comprare prodotti USA, come l’agroalimentare. Trump seleziona i benefici politici sulla base degli stati implicati, in quanto la sua enorme popolarità è fondata sulla “corn belt”, ovvero gli stati agricoli centrali, dove vincerà le presidenziali a man bassa, anche per la riconoscenza dei petrolieri.

Ma il palazzinaro Trump ha dimenticato il suo “core business”? Niente affatto! L’incremento delle costruzioni USA è strabiliante: un aumento di produzione del 16.9% (!), dato che non si aveva dai tempi del “new deal”. E’ proprio il boom del settore immobiliare che fa crescere il PIL USA, primeggiando in tutto l’occidente. Ecco che noi italiani, che non abbiamo la bomba atomica e nemmeno basi militari in tutto il mondo, possiamo prendere esempio dalla gestione Trump solo per un aspetto interno alla nostra economia: il suo rilancio mediante interventi mirati sul territorio e le infrastrutture, una nuova edilizia che farà crescere il PIL come negli USA. Anche perché è sconfortante vedere ridurre i consumi interni e crescere le esportazioni. In questo, invece, prendiamo a triste modello la Cina.

                                                                                              Francesco Nicolosi Fazio