Un 25 aprile di PACE.
Giorgio Bocca affermava che lui “Bella ciao” durante la resistenza non l’aveva mai sentita cantare. Anche se lo diceva con intento mistificatorio, il grande giornalista aveva ragione. La più bella canzone della resistenza, inno mondiale della libertà, non era cantata dai partigiani sabaudi piemontesi ma da quelli dell’Appennino, separati da Bocca da nazisti e repubblichini. L’odio delle destre per “Bella ciao” sintetizza i contrasti e le differenze che ancora caratterizzano la visione del mondo e del concetto stesso di “Liberazione”, tra conservatori e progressisti.
Già quasi subito dopo la Liberazione si verificò il contrasto: il risultato del referendum per la Repubblica mostrò enormi sacche di conservatorismo anche tra gli antifascisti, con la colpevole monarchia che stravinceva al sud, luoghi di latifondo e mafie. Se la chiesa non avesse realizzato la vendetta contro i fatti di Porta Pia, oggi avremmo ancora i Savoia al Quirinale. Poi la chiesa, tramite la DC, fece la scelta atlantica. Ancor oggi l’Italia paga le conseguenze della sconfitta della seconda guerra mondiale, e si nega il ruolo degli antifascisti nella liberazione. Forse per questo nell’Europa occidentale molti nazisti riuscirono a fuggire e i fascisti restarono al loro posto.
Per dare una prospettiva alla ricorrenza del 25 aprile bisogna dare nuove ipotesi al futuro della nostra democrazia, come per quella europea, anche con una più attenta lettura dell’art. 11 della Costituzione, dove oltre al “ripudio della guerra” si vuole che si “assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Questi concetti nascono proprio dalla vittoria del 25 aprile, quando si sconfisse la violenza fascista che purtroppo oggi riappare in altre forme e tanti luoghi. Chi oggi non “ripudia la guerra” ha tutte le caratteristiche del mafiascista: colui che esercita la violenza per ottenere il potere, prima contro il suo stesso popolo, poi oltre i confini. Purtroppo il fascino della violenza e dell’uso straripante di armamenti accomuna le autocrazie alle democrazie. Le vittime innocenti lo sanno.
Francesco Nicolosi Fazio