Paolo Portoghesi è tra gli architetti che più hanno animato l’Italia in costruzione negli ultimi cinquant’anni, lasciando traccia di sé specialmente nel Centro e nel Meridione, com’è avvenuto con il teatro “Mario Foglietti” (il Politeama) di Catanzaro, concepito alla fine degli Anni ’80, inaugurato nel 2002 alla presenza del Capo dello Stato, Ciampi. Carattere vivace e giocoliero, di coerente, alta cultura, accettò perfino di elaborare il Piano regolatore di Acireale che la DC parve nel 1986 volergli affidare preferendolo a Leonardo Benevolo, troppo nordico, ‘calvinista’ nel metodo, nonostante i  giovani architetti e ingegneri acesi indicassero quest’ultimo come beniamino.

Ma torniamo al Teatro catanzarese. E approfittiamone per parlare di questioni squisitamente estetiche, stilistiche, per via di una quaestio che non è priva d’importanza:  chiunque guardi, anche di primo acchito, la facciata del “Foglietti” , non farà a meno di  stringere una relazione istintiva con il primo progetto che Gianlorenzo Bernini disegnò per il Louvre: un corpo centrale, convesso, da cui, “come un granchio che tende le sue chele” (Sergio Dragone) si diparte il resto.

Non è di questo avviso il  MiC (Ministero della Cultura) che scheda (a cura di Gaetano Scarcella nel 2006) nel Censimento delle architetture italiane dal ’45 a oggi , l’opera che “esternamente….diviene un eloquente omaggio al progetto di Borromini per la Chiesa di San Paolo fuori le mura in Roma”; e neanche Francesca Gottardo, nel 2008 ricercatrice del Miur (Min. Istr., Univ. e Ricerca), che  attribuisce a Portoghesi una rielaborazione “del tema borrominiano delle ali e dell’abbraccio nel prospetto dell’Oratorio dei Filippini” di Roma.

Naturalmente, è peregrino pensare che l’Architetto abbia mai dichiarato di ispirarsi a un preciso edificio sol perché  di Borromini si è dichiarato elettivamente epigono; ma qui (e ne ho parlato anche col mio amico psicologo Pippo Bella, che riconduce il silenzio-assenso di Portoghesi circa l’accostamento al grande Comacino di cui sopra a un classico lapsus freudiano, nel senso che, mentre era convinto di ispirarsi a A= Borromini, riandava con la matita a B=Bernini; e non solo, tenendo conto che il tetto del Politeama  ha a che vedere con quello che Pietro da Cortona ideò per il Louvre) qui, dicevo, ci troveremmo davanti a una mistificazione, un immaginario lapsus collettivo in cui, per  controproducente ossequio al Cittadino di Calcata, non si ammette il “fior da fiore” dai Maestri del Seicento, Bernini in primis. Che non è comunque da considerarsi un delitto: anzi, un gioco tipico dell’anima Portoghesiana.

  1. teatro Politeama;
  2. progetto di Bernini per il Louvre;
  3. pianta – progetto di Borromini per s.Paolo fuori le Mura, che sì, ha una breve convessità al centro su un fronte piatto, da cui si dipartono due edifici concavi, tipo Piazza del Plebiscito a Napoli (il che dimostra, per inciso, un inedito interesse per la penetrazione urbana del manufatto, che si ripete simmetricamente sul retro, dando all’intero disegno la sagoma di una specie di rospo, non manifestata in altre opere da Borromini);
  4.  facciata dell’Oratorio romano, quasi piatta e priva del presunto “abbraccio” delle ali.