In questi giorni di Feste Natalizie, che preludono alla fine di un anno non proprio da elogiare e l’inizio del nuovo, che si auspica portatore di serenità e benessere compensativo, vibra spontaneo qualche motivo di riferimento a bilanci come esito di osservazioni e valutazioni. Capita però che le aure più insistenti giungano da quanto ci ha lasciato perplessi, insoddisfatti o, addirittura, delusi, l’anno che se ne va. Occasioni nelle quali non entra la contingenza purtroppo perseverante del covid19, se non che per quanto continuerà a dolerci per gli amici e i conoscenti che ci hanno lasciato. E con loro la ecatombe di vittime della “peste” che l’annata bisestile ci ha fatto e continua a farci vivere tra restrizioni, ansie e lutti.
Poi, come per beffarda complementarità, l’ingiuria emergente di altro, nel quotidiano locale, nazionale, universale. Eppure sia sempre la fiammella dell’ottimismo da non lasciare che si spenga. La speranza, nido ultimo da cui nessun disagio o dramma potrà mai scacciarci per sopravvivere e andare avanti. Le tempeste durano sempre molto meno dei periodi di bonaccia e se la ruota del perenne ricorrere e alternarsi delle realtà fenomeniche è oggi al suo punto basso, è già segno che nel suo procedere si dovrà, pur se lentamente, risalire.
I nostri diari sono fitte pagine di testimonianze sui trascorsi ormai lontani: l’adolescenza, la giovinezza, la maturità e i luoghi nei quali abbiamo respirato gioie, doveri, delusioni, come altrettante necessità ineludibili. Ricordiamo la nostra Acireale di altre Feste Natalizie, ma anche quella dei nostri esami di ammissione dalle elementari alle medie. E poi, tutti di un fiato gli anni da studenti fino agli esami di maturità con una commissione esaminatrice composta tutta di elementi esterni all’istituto di appartenenza. Il primo collaudo, quella volta, della denominata “Legge Segni”.
Bei ricordi oggi ma giorni di grande ansia allora. Ansie condivise dall’anima stessa degli ambienti sociali locali, si direbbe, quasi una atmosfera di complicità che si respirava nelle famiglie dei candidati e finiva per aleggiare nella vita di relazione di tutta la città. Non vi erano ancora nemmeno sentori dei mezzi che la tecnologia già apprestava per gli anni a venire.
2. Poi la nostra esperienza tra politica e responsabilità amministrative in seno a una giunta comunale dove il collega più giovane, dopo di noi, era stato il nostro docente di storia della filosofia, il professore Rosario Cirelli. Ed ecco il ricordo dei protagonisti politici acesi di quegli anni, rivali accaniti tra le diverse ideologie, ma sodali pronti a improvvisarsi uniti in gara per il bene della città, con slanci di una spontaneità che veniva pomposamente definita “tutta acese”. Cristoforo Filetti, Gaetano Vigo, Mario Martinez… nomi come piramidi di un tempo che fu, per Acireale, momento e che noi abbiamo vissuto da piccoli protagonisti. Personalità, prima ancora che personaggi, e gesti di solidarietà umana e di impegno civile esemplari per noi allora giovani definiti “turchi”, eppure cittadini irrequieti perché desiderosi di nuovo e di novità autentiche a misura di entusiasmi adeguati ai nostri venti anni. Eppure, adesso, a distanza di tre quarti di secolo, non ci peritiamo di confessare che quella volta recitavamo, inconsapevolmente, la parte dei ranocchi descritti da Giuseppe Giusti ne’ “Il re travicello”. Rappresentavamo una parte, tutta nostra, nella tradizionalista Acireale, quella che Enzo Marangolo aveva definito ironicamente intitolando il suo romanzo “Un posto tranquillo”, facendo eco all’altro romanzo di un decennio prima, di altro acese, Antonio Prestinenza, che aveva intitolato il suo “La città delle cento campane”.
Il nuovo, scaturito da quella nostra impetuosa esigenza giovanile, sarà anch’esso, forse maldestramente alluso ancora in altro romanzo, “Il gufo reale”. Avevamo, anche se a modo nostro, capito quale errore avevamo avallato e la letteratura ci offriva il destro per una pubblica espiazione.
Turi Sottile, che in quegli anni era già pur se giovanissimo, un artista delle arti figurative affermato e stimato, si era mantenuto fuori da intruppamenti politici, e, da amico da sempre, cui avevamo confidato l’ordito del nostro romanzo, ci aveva suggerito di rivolgerci a all’editore Flaccovio, in auge in quel 1968 a Palermo. E ci aveva, proprio lui Turi Sottile accompagnato fino a Palermo, in via Ruggero Settimo per presentaci, a un suo collega pittore e amico, Ermanno Gagliardo, che era il direttore artistico della Flaccovio. E il “Gufo reale” prese il volo con la prefazione di Giuseppe Fava, che non mancò quindi di essere tra i presentatori del romanzo, in presenza di un pubblico venuto ad affollare la piazzetta e i viali antistanti gli uffici amministrativi del Giardino delle Terme Santa Venera. Significativa la presenza dell’ editore del romanzo, il dottor Salvatore Fausto Flaccovio.
3. Con Sottile poi, qualche anno dopo, un nuovo sodalizio manifestato attraverso l’immagine della copertina con uno squillante dipinto del giovane maestro per Il mulino d’Aci, altra nostra opera narrativa anch’essa di sconfessione dei risultati innovativi in politica locale, ottenuti negli anni appena pregressi. Il resto non riteniamo di doverlo necessariamente ricordare, dopo mezzo secolo, in questo volgere di fine 2020. Siamo lontani da quei giorni e da quelle atmosfere di passaggio da una temperie politica a un’altra.
Adesso Acireale è su altro versante, che non è quello ripetitivo dell’opera di San Giovanni della Croce, ma quello del punto più basso della ruota che ci trova protagonisti o spettatori sul grand-bus della nuova civiltà dell’usa e getta, degli scappati da casa nei governi e dei momenti schizo-turistici di annunciare prenotazioni di viaggi interplanetari per prossimi weekend di fine annata sulla Luna o su Marte.
È il momento per alcuni di noi di riascoltare le strofe della canzone nella quale il tale che sognava ogni notte Napoli, dichiarava “porto il mantello a ruota e fo’ il notaio”.
4. Ci siamo rincontrati con Turi Sottile dopo un quarto di secolo. Lui a Roma, maestro delle arti figurative, attivo come sempre e carico dell’humor ironico che lo accompagna da quando era adolescente, sua costante e geniale natura di artista, noi in giro per il mondo inseguendo passioni letterarie. Turi ci ha aggiornato sui suoi rapporti con Acireale e i suoi attuali amministratori. Risate! Lo avevano cercato ed erano andati a trovarlo fino a Roma, poi lo avevano invitato ad Acireale, affinché fosse lui stesso a scegliere il sito migliore per la sede di una galleria d’arte permanente ed esclusiva delle sue opere di Maestro che continua a onorare la sua Acireale. Poi… Poi non se n’è fatto più nulla, come se nulla fosse stato o servisse da testimonianza perenne a cario di una “bassa quota” anche in periferia, il punto più basso della ruota è in attuale dimostrazione a onta di quel passato che si va scolorando per essere dimenticato. La città che vanta una propria storia di singolari e grandi valori, artistici, morali e persino religiosi, adesso ha scelto di vivere d’usufrutto su di essi; rifiuta di mettere a frutto nuovi legittimi capitali perché, attraverso i suoi nuovi pallidi gestori, purtroppo non tutti né sempre acesi, si va affezionando alla condizione di “città di facciata”, funambulando tra ipocrisie, affari e morale levantina.
Il caso dell’affronto al Maestro Turi Sottile, un baffo con la carbonella per l’Artista, che, tra sua naturale lungimiranza e natura ironica, potrà cancellarlo in qualsiasi momento in quanto, appunto, baffo con la carbonella, ma una macchia indelebile, a futura memoria, per i responsabili della malaparata, talmente ingenui da poter sembrare in buona fede, come ordinariamente capita agli scappati di casa.
Mario Grasso
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