LA NARRAZIONE CORALE DI SALVATORE POIDOMANI E LE RIFLESSIONI ESISTENZIALI DEL SUO TEMPO, SEI MAESTRO
  1. Salvatore Poidomani è – come si diceva una volta – un gentiluomo modicano ed è uno dei più noti avvocati penalisti iblei; ha anche avuto importanti incarichi rappresentativi nel mondo dell’avvocatura associata, che lo hanno fatto conoscere e apprezzare dal grande pubblico forense.

A questo impegno professionale, negli ultimi anni, Salvatore Poidomani ha affiancato il suo cimento nel mondo della narrativa, iniziato nel 2016 con il bel libro di racconti intitolato Il venditore di mandarini, nel quale descriveva con sapienza e ironia una variegata umanità, che incontrando il mondo della giustizia, trovava nel disincanto e nel buon senso lo strumento per evitare di essere sopraffatta dalla burocrazia giudiziaria.

Dopo questa prima, già riuscita prova letteraria, Salvatore Poidomani torna a cimentarsi con la scrittura narrativa, pubblicando per la Casa editrice Prova d’Autore il romanzo Tempo, sei maestro, che conferma la voce forte della sua ispirazione letteraria e ce lo fa collocare tra le voci più belle della narrativa isolana.

Occorre dirlo subito: Tempo, sei maestro è uno splendido romanzo sulle stagioni della vita e sulle passioni, diverse e altalenanti, che governano l’incedere dell’età; non è, per fortuna dei lettori, un romanzo giallo o di matrice noir; non è, per fortuna del suo autore, un romanzo di ispirazione camilleriana.

Questa riuscita fatica letteraria di Salvatore Poidomani è essenzialmente un racconto sulle stagioni della vita e sulle passioni che governano l’esistenza umana, valutate con un racconto corale e delicato, inserito in un mondo, quello ibleo mediterraneo, che non è mai dominante – come in tante opere di emuli camilleriani –, costituendo lo sfondo potente ma discreto di questa riflessione esistenziale.

Il racconto è incentrato su tre figure principali, ciascuna delle quali costituisce un segmento della riflessione sull’esistenza umana, condotta da Salvatore Poidomani attraverso la ricerca della propria identità sviluppata dai protagonisti del racconto: quella del giovane migrante, Majdi, che insegue la verità su se stesso e sulle sue origini, cercando di scoprire la sua identità, individuale ed etnica; quella di un insegnante, il professor Carmelo Fisino, ormai vicino alla pensione, che insegue la chiusura del suo cerchio interiore, tra dilemmi ideologici e stanchezze esistenziali, che cerca un’identità culturale, che dia un senso al suo quarantennale lavoro; quella di un pittore solitario, il Maestro, che cerca all’inizio del libro una tela della sua gioventù, ma che il fondo cerca o, per meglio dire, insegue, il colore indefinito del mare, che è lo stesso mare dei migranti di Majdi, splendidamente descritto da Fuocoammare di Gianfranco Rosi.

Il bellissimo romanzo di Salvatore Poidomani, dunque, è un racconto sulla ricerca della propria identità condotta dai tre protagonisti, che è anzitutto una riflessione sulle stagioni della vita, che seguono l’incedere dell’esistenza umana: quella della gioventù, rappresentata da Majdi; quella della maturità, rappresentata dal professor Fisino; quella della vecchiaia, rappresentata dal Maestro.

  1. Questa ricerca dell’identità dei protagonisti, tuttavia, non procede separatamente nel corso della narrazione, ma si intreccia, come le vite dei tre attori della narrazione, che, fin dall’inizio si incrociano, come capita a Majdi e al professor Fisino, che è un suo insegnante, che, nella prima parte del romanzo, danno vita a uno scambio memorabile di battute sugli “infedeli” nel primo giorno di scuola di entrambi e sul senso che a questa parola i due interlocutori danno. Questo colloquio dà la misura dei dilemmi esistenziali di entrambi gli interlocutori, particolarmente acuti nel professor Fisino.

La figura di Majdi, tra quelle dei tre protagonisti, è quella descritta dall’Autore con maggiore empatia narrativa e con un affetto quasi paterno, stagliandosi, fin dalle prime pagine, in modo nitido, quasi fisico. Così Majdi viene descritto da Salvatore Poidomani: «Alto più della media, fisico asciutto, pelle olivastra, capelli nero ebano, barbetta a chiazze, sguardo acuto ma dimesso. Indossava una maglietta verde acqua e dei jeans e portava un orecchino nel lobo dell’orecchio destro».

E in modo altrettanto nitido l’Autore descrive il percorso di ricerca che Majdi compie nel corso del romanzo, che è chiarito dal colloquio che il giovane intrattiene con il padre sulle sue origini, a metà del romanzo, così spiegate dal genitore: «Non è così semplice, Majdi – disse suo padre. E’ stata una scelta in un momento di costrizione. La guerra durava da anni. Noi con le nostre famiglie vivevamo nel paese in cui sei nato tu. Un posto tranquillo, tollerante, composto da persone di ogni religione. Della guerra arrivava solo l’eco e, a tratti, l’odore del fumo. Nella stagione del vento, a volte, ci arrivava la polvere aspra, impregnata di sangue. Tutta la comunità riuscì per lungo tempo a non farsi coinvolgere, a non schierarsi, forse perché non ci rendevamo conto di quello che stava accadendo».       

Ricerca sulle sue origini che non giunge a esiti del tutto soddisfacenti, ma che, in qualche misura, trova una sorta di suggello nella parte conclusiva del libro, coincidente con la fine dell’anno scolastico, durante un giorno in cui Majdi si trova in una masseria con il padre e ritrova nel rapporto sereno con il genitore e la natura circostante il senso contingente della sua esistenza; condizione di serenità che viene espressa con un’immagine saviniana, rappresentata dal momento in cui Majdi vede nel mare ibleo di fronte al quale si trova una nave che taglia trasversalmente il mare, dirigendosi dalla punta dell’Africa alla Sicilia, che il nostro protagonista segue con lo sguardo, rasserenandosi – memore del suo vissuto – quando «ebbe la certezza che aveva attraccato perché la vide oltrepassare la scultura, la porta in ceramica […] posta sull’estremo lembo dell’Europa, su due promontori, come nuove colonne di Ercole […]».

Majdi, in questo modo, ritrova un suo equilibrio interiore, pur nella complessità della sua condizione adolescenziale, rispetto alla quale, come dice Salvatore Poidomani, il tempo è un “concetto aurorale”, trovando una sorta di pace interiore, momentanea, nella bellezza del paesaggio della costa iblea, davanti al meraviglioso mare che gli si prospettava imponente, con le sue venature di colore azzurro, turchese, verde e, infine, rosso.

  1. Parimenti ma diversamente tormentata è la figura del professor Carmelo Fisino, che rappresenta la stagione mediana del percorso narrativo di Salvatore Poidomani, che vive la sua vita di insegnante, stretto tra i suoi dilemmi ideologici e le sue stanchezze esistenziali, cercando faticosamente un’identità culturale, per tutto il corso della narrazione, che prende le mosse – analogamente a quanto si è detto per Majdi, di cui è uno dei docenti – dal primo giorno di scuola dell’ultimo anno di una classe del liceo siciliano che lui stesso aveva frequentato, in anni lontani, come studente.

Anche questa figura narrativa viene descritta efficacemente dall’Autore fin dalle prime pagine del racconto, con una ricostruzione antiretorica, che colpisce immediatamente il lettore, per le sue assonanze con i personaggi inquieti dell’indimenticato Paolo Volponi.

Carmelo Fisino, in particolare, viene descritto come un «uomo, di età indefinibile, tra i cinquanta o forse sessant’anni, di media statura, robusto e asciutto, dalle mani nodose, con la faccia rotonda, la barba incolta e le sopracciglia folte, che uscivano dalla montatura degli occhiali dietro i quali guizzavano i suoi profondi occhi neri». Ma parimenti importante, per ricostruire questa figura intellettuale, è anche il riferimento alla sua passione per il lavoro di insegnante, che Salvatore Poidomani, così descrive: «Eclettico, curioso, di cultura onnivora, brillante intrattenitore, il professore Fisino adorava gli alunni, si aggiornava per loro, si alzava la mattina per incontrarli, per conoscerli meglio nel pomeriggio organizzava incontri sugli argomenti più disparati; la sera la dedicava interamente alla preparazione delle sue lezioni: insomma viveva per trasferire quel poco che sapeva».

Carmelo Fisino, in realtà, è il professore che tutti vorrebbero avere, perché non soltanto affascina i suoi studenti con le sue lezioni, ma invoglia i suoi studenti a seguire un percorso di formazione autonomo e non convenzionale, che, proprio per questo, è apprezzato dai giovani discenti, che considerano il suo insegnamento un “balsamo per la mente”. 

Tuttavia, l’amore per l’insegnamento di Carmelo Fisino e la prospettiva di doverlo abbandonare di lì breve, per la conclusione dell’anno scolastico, che sarà anche il suo ultimo anno di lavoro, determina un crescente disagio nel professore, che, nel corso del racconto, lo rende sempre più malinconico. In questo contesto, appaiono esemplari i colloqui che Fisino intrattiene con Majdi, che vedono l’insegnante sempre più sfiduciato per l’approssimarsi della data del 10 giugno, che rappresenta il suo ultimo giorno di scuola e della sua carriera lavorativa; ma anche il colloquio che il professor Fisino intrattiene con il Maestro, a metà del romanzo, in cui i due protagonisti affrontano il loro rapporto con la fede, con toni al contempo aulici e sarcastici.

Sino all’epilogo finale, inaspettato, della vita narrativa di Carmelo Fisino, che nella parte conclusiva del romanzo viene messo da parte, per ricomparire quasi improvvisamente – ancora una volta in occasione di un incontro con Majdi –, con una spiegazione del suo futuro, che sembra una catarsi verso lidi illuministici, a lui tanto cari. Ma non aggiungo altro, per non rivelare l’esito del percorso narrativo del professor Fisino, che comprende anche una sorta di beffa che l’insegnante fa ai danni dei suoi colleghi e della dirigenza scolastica, proprio nel suo ultimo giorno di scuola. 

  1. Resta da dire del Maestro, attorno al quale ruota la sottotraccia narrativa della bellissima opera di Salvatore Poidomani, costituita dall’amore dell’Autore per la pittura e per la luce che illumina i dipinti dei grandi artisti, a cominciare da Vermeer e Rembrandt, che il lettore incontra fin dalle prime pagine del racconto, come in una sorta di overture letteraria, che lo avvicina a un bellissimo romanzo sulla pittura e sulla luce dei dipinti, come La ragazza con l’orecchino di perla di Tracy Chevalier.

Ma chi è il Maestro?

Il Maestro, innanzitutto, è un grande pittore, ma è soprattutto un artista che cerca la perfezione dei suo dipinti, attraverso la ricerca spasmodica della “luce perfetta”, quella luce che illumina il mare, così tanto amato dal nostro protagonista. L’amore del Maestro per il mare, che è l’elemento predominante dei suoi dipinti, è così descritto dallo stesso artista nel colloquio che intrattiene con il preside del liceo frequentato da giovane: «Ho passato la vita a mischiare colori. Ma ho sempre dipinto il mare. Ho cercato e nelle sue onde ho trovato la gioia e la spensieratezza, poi la passione, quindi l’armonia; da vecchio, scendendo nei fondali, ho pescato la malinconia e la memoria, infine l’orrore e il dolore. E’ stato un impegno totalizzante, una vita intera in cui ho visto ridursi man mano, lustro dopo lustro, i colori della tavolozza».

Vivida è anche la descrizione della vita di contemplazione della natura alla quale è dedito il Maestro, che vive da solo, a ridosso di un borgo marino, in cui abitavano una decina di pescatori, in una piccola casa alla quale avevano accesso solo pochi amici. Da questa casa, che ricorda le villette di Sampieri, il Maestro trascorreva le sue giornate, scandite da due riti giornalieri: la passeggiata mattutina di un’ora sulla battigia del mare antistante la sua abitazione e la contemplazione del tramonto, visto dal terrazzo della sua casa, accanto a un albero di carrubo, che durava non più di venti minuti.

E il periodo in cui il Mastro preferiva la contemplazione del tramonto era quello di giugno, in cui «tutte le sere vedeva ripetersi il prodigio, delle luci delle case poste a oriente che si accendevano, i campi di stoppie che si colorano di venature rossicce e i carrubi che istante dopo istante perdono i contorni per trasformarsi dapprima in sagome informi e poi dissolversi nell’oscurità».

 Altrettanto vivida è la ricostruzione narrativa della presentazione dell’ultimo capolavoro del Maestro, della quale viene incaricato il giovane professor Fontana, con una strana assonanza con il pittore dei “tagli”, che nel descrivere il soggetto dell’opera, non ha dubbi nell’indicare il mare, ma «non quello che conosciamo, quello dei bagni o delle cartoline. Non è lo stesso che il maestro guarda dalla sua casetta vicino alla fornace. E’ il mare che esisteva prima dell’avvento dell’uomo e che sarà dopo la sua scomparsa. Il mare quando non aveva un nome, quando ancora non era stata inventata la parola. Un mare illibato, non ancora fecondato o offeso, a seconda dei punti di visti, dalla nostra razza […]».

Anche in questo caso, però, Salvatore Poidomani ci riserva una sorpresa, che naturalmente non è opportuno rivelare, atteso che questo soggetto pittorico, come in una sorta di work in progress, viene modificato nel corso della stessa presentazione dell’opera.

 Il Maestro, quindi, al termine della presentazione del suo ultimo capolavoro scompare, lasciando il lettore colpito per l’originalità della sua uscita di scena, che fa il paio con l’originalità della soluzione pittorica data all’opera presentata, che cesella ulteriormente la trama narrativa. 

  1. Resta da dire che questi percorsi esistenziali vengono descritti con mano letteraria sapiente da Salvatore Poidomani e, nella loro apparente frammentarietà, si ricongiungono nella luce del paesaggio mediterraneo, fondendosi idealmente in un’unica linea esistenziale incalzata dai dubbi e dai colori del tempo in cui i protagonisti del racconto vivono.

Queste sensazioni vengono sintetizzate efficacemente dalla figura del Maestro, che, con la sua ricerca della perfezione pittorica, punta alla sintesi tra l’esistenza umana dolorosa e la bellezza del paesaggio mediterraneo, che stempera i dubbi esistenziali dei protagonisti del racconto. 

Il percorso narrativo di Salvatore Poidomani sulla pittura, infine, viene suggellato dalla bellissima copertina, che riproduce il dipinto “Finestra sul mare” di Giuseppe Colombo, eccelso esponente della Scuola di Scicli.

 6. Consiglio a tutti i lettori di immergersi nella lettura di questo bellissimo racconto della Sicilia mediterranea, iconografica ma non oleografica, dal quale rimarranno affascinati, guidati dalla sapiente mano narrativa di Salvatore Poidomani.

Alessandro Centonze