Ci sembra corretto mettere avanti le mani, avvisare i lettori apprensivi che in questa divagazione non viene annunciato alcunché di nuovo: “Munnu ha statu e munnu è, comu ha statu accussì è”. A beffa dei contestatori del fatalismo, (che di ragione ne avevano, ne hanno e ne avranno da vendere), la sapienza popolare che ci ingegniamo a scacciare fuori, esce dalla finestra, fa un giro dell’isolato e rientra dalla porta principale. Infatti, a proposito della mossa del cavallo e del ponte dell’asino, non è novità alcuna il dover censire il salto della quaglia, la mossa del cavallo, i furbetti del quartierino, i cannoli di Palermo, e via di questo tenore.
Per questa volta prendiamo a rispolverare il caso che esalta la mossa del malvone. Ma da ingenui, come quella volta il Renzo manzoniano nella Milano dei tumulti, quando non peritandosi dal prendere la parola gli era toccato di racimolare dalla voce di qualcuno della folla un “Adesso ogni scalzacane vorrà dire la sua”. Il tema cui ci spinge audacia è la prossima elezione del presidente della Repubblica. Ovvero stando ai prodromi, il prossimo ponte dell’asino della politica italiana. Premessa la consapevolezza del tassativo rifiuto de bis più volte pronunciato con eleganza dall’uscente Mattarella, c’è l’attuale squillo di trombe sulla autocandidatura di Silvio Berlusconi. Uno sporgersi fino all’impudenza che il medesimo ex cavaliere propina volpescamente sconsigliando la candidatura al Colle promessa fin da qualche anno e passa all’attuale premier Mario Draghi da una variegata coralità politica nazionale.
Draghi, a giudizio del Berlusconi (ma non solo) ha dato lampanti prove di saper fare, sta continuando a operar bene e non bisogna assolutamente distoglierlo da tale evidente esito di “Squadra vincente”, che non si cambia.
Tuttavia questa mossa del malvone non può far breccia sulla sinistra del Parlamento, né su una trancia di battitori adusi a meritare il titolo di “franchi tiratori”. Questi ultimi propongono altro, e tifano per altri da mandare sulla poltrona del Colle. Siamo in democrazia e il discorso calza. Personalmente, se fossimo deputati, proporremmo il nome di Pier Luigi Bersani e, in caso di forzata alternativa, quello di un “non parlamentare”: il giornalista Antonio Padellaro. Due occasioni che ci vengono sinceramente ispirate dall’indole mite e saggia dei due. Veri moderatori consapevoli e mai impallacchieri, ciascuno nella propria attività pregressa e attuale. Una seria e ammirevole coerenza di linea scevra da momenti da copioni teatrali a sfondo populista.
Una tesi – ne siamo consapevoli – da fare sbottare chi la legge mugugnando come il rappresentante del buon senso tra i tumulti e il caos di quella volta con Renzo che aveva voluto dire la sua, secondo quanto ci ha raccontato Manzoni.
Risate! Si dirà. Ma c’è poco da ridere, se si tiene conto dei “corsi e ricorsi” della prodigiosa storia dell’uomo e per il caso in questione, della politica italiana. Ed ecco, a proposito dell’antica tesi del Vico, il ricorrere delle occasioni con il salto della quaglia, la mossa del cavallo, il ponte dell’asino, etc. I meno succubi di memoria scarsa ricorderanno, a lume di naso, il gioco dei bussolotti inscenato nei giorni delle pregresse elezioni dei presidenti della Repubblica. La consuetudine vincente è di bruciare il nome dato per sicuro alla vigilia: vedi il caso di Romano Prodi nella scorsa tornata, con l’esito finale, propiziato da Matteo Renzi a favore di Mattarella. Bruciare a fuoco amico o nemico, perché non è la provenienza delle “palline” a far testo, ma la loro quantità promotrice del quorum. Non ha fatto testo nelle votazioni del passato come non lo farà per Mario Draghi. A Draghi mancheranno i voti necessari al raggiungimento del quorum, nelle prime tornate, mancheranno per coerente e “leale” linea politica di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega di Salvini, giustamente convinti del suggerimento di Berlusconi, di cui sopra si è detto. Poi, quando si passerà al turno della maggioranza semplice, ecco la mossa del malvone al suo collaudo e infallibile esito pratico: la destra compatta, eventualmente risarcita da qualche cecchinata dei sempiterni franchi tiratori, colmerà e stracolmerà la misura del quorum metà più uno, crollerà l’usurato ponte dell’asino e dalle macerie uscirà trionfante il nome dell’immarcescibile ex cavaliere Silvio Berlusconi, eletto al suon di accarezzanti bunga-bunga alla presidenza della Repubblica italiana. E così non sia.
mariograsso