IMMIGRAZIONE E COMPLESSITA’ DELL’INCONTRO

TRA DOMANDE E RISPOSTE

Siamo bombardati quotidianamente da messaggi di cui fatichiamo a cogliere il senso. Io lettore/spettatore ignaro, davanti al male, mi pongo domande che di certo non rappresentano novità per il genere umano, risalendo all’alba dei tempi. Una di queste attiene all’origine del male, sempre se esso possa mai essere circoscrittoin una categoria ben recintata. Certamente è male la sofferenza, l’ingiustizia. Certamente l’uomo non ha davvero voglia di liberarsene.

L’uomo chi? In procinto di addentrarci in un tema che ha per nucleo la diversità – e a proposito di giustizia – è bene tener conto delle opportune distinzioni, farmaco per non cadere nelle grinfie del cinismo, quest’ultimo rovina dell’uomo e di ogni evoluzione culturale.

Mi affaccio dalla finestra della mia società e ciò che vedo è solo panico, confusione, bisogno di capire ma ottundimento. Ottundimento indotto o meno, questo può far la differenza ma non ai fini puramente descrittivi di una realtà in cui nessuno è padrone di se stesso e del proprio pensiero fintanto che saremo disposti ad accettare risposte preconfezionate e confortanti. Questo conforto è tuttavia molto a breve termine, destinato a volatilizzarsi non appena il capro espiatorio di turno viene allontanato dalla pòlis. Potremo spostarci da Atene alla Francia delle lettre de cachet e poco cambierebbe. Ad accomunare leggi scritte e non, atteggiamenti sociali e spinte politiche vi è solo l’incapacità di rendersi conto di una realtà atroce: repulsione e segregazione del “diverso” (che siano fisiche o psicologiche) hanno il solo scopo di toglierci da davanti agli occhi (e alle coscienze) tutto ciò che non funziona nella nostra società. Che sia identificazione proiettiva, paranoia o semplice calcolo razionale, non riflette la verità che sta alla base di ciò che affrontiamo. Chi di questo ha fatto oggetto di studio scientifico ha sottolineato come le ragioni dell’ostilità verso un gruppo “diverso” (gli studi psicologici e sociologici lo chiamano outgroup) siano da ricercare nello stesso proprio gruppo di appartenenza. Mentre scrivo passo in rassegna nella mia mente la profonda malafede che non ha fazione, cresce come un’ortica ovunque l’uomo tradisca se stesso. Sappiamo tutti come in alcune regioni italiane abbiano già ottenuto la maggioranza governativa uomini (perchè sempre di uomini si tratta e non di Messia) che non disdegnerebbero l’erezione di un nuovo Muro. Qualcuno non comprende la realtà, altri la comprendono ma vi trovano nozioni non funzionali ai propri scopi. Al capo opposto vi sono coloro che si farebbero arca, come un Barbapapà o un Mister Fantastic contemporaneo, sventolando bandiere di solidarietà mentre con l’altra mano affondano bustarelle in tasche sempre più colme. Anche in questo polo vi è chi non comprende e chi invece comprende sin troppo bene. I giornali ogni tanto qualcosa la dicono, ma forse non li leggiamo abbastanza? Perchè le prove schiaccianti che emergono dalle più recenti inchieste, e che non sono altro che testimonianza di una incistata corruzione, non bastano (vengono anzi bollate)? E’ ridicolo come ci si nascondi dietro un dito e la gente non vede altro che il dito!

Che fare? Non parteggiare. Quando mi si chiede “con chi sei?”, io rispondo con nessuno. Rimboccarsi le maniche e disinfestare lo stagno della pigrizia, pigrizia che ci porta a restare in attesa che qualcuno capisca qualcosa senza tener conto della possibilità che quel qualcosa potremmo capirlo anche noi. Allora informiamoci, studiamo, cerchiamo di capire e capiamo che quanto ci viene detto non è sempre la verità. Una volta qualcuno mi parlò di “punto di fusione”, con riferimento a quel limite oltre il quale l’uomo è acquistabile. Bene: facciamo sì che quel punto sia il più lontano possibile, lontanissimo! Inoltre – soprattutto in un paese come l’Italia dove non è promossa meritocrazia e dove rispetto e riconoscimento sono dati sulla base della posizione occupazionale, del ruolo in un’organizzazione o in un rapporto sociale – non conferiamo autorevolezza ai nostri interlocutori sulla base dello status (che sia sociale o professionale). Anche gli uomini intelligenti sono pur sempre uomini (i più pericolosi). Acquistare ingredienti in tutto il mondo, ma cuocere i cibi in casa.

Dopo questa “ramanzina”, forse tinta un po’ di amarezza, quest’ultima non sfocia nel cinismo ma nella presa di coscienza della resposabilità che ognuno di noi ha. Questa deve darci forza. Ribaltando la morale kantiana, che non mi è mai stata in realtà molto simpatica, diremmo, invece, “posso quindi devo”.

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Tornando alla lettura che abbiamo scelto per relazionarci con questo delicato tema, che senso diamo al concetto di diversità? Che valore riveste per noi al livello individuale e sociale? Nell’era del robot, rischiamo l’omologazione come non mai. Ascoltavo tempo fa un intervista che fu fatta a Pier Paolo Pasolini, che dichiarava come paradossalmente nell’intento di omologarci sia riuscita più la società democratica che il fascismo, durante il quale perdurava ancora quella lotta, non necessariamente armata ma soprattutto psicologica, all’invasione del pensiero totalitario. Forse abbiamo allora, oggi, moderni e democratici, dimenticato cosa sia la diversità? Che valore ha? Che funzione riveste? L’unico ruolo che oggi le viene riservata, con riferimento alla diversità etnica, è quella di connotare un reato spiattellato sui TG: omicidio… bla bla… l’indagato è un marocchino di 23 anni. Dunque? Quando un’uomo uccide moglie e figli in un condominio o in campagna dicono forse se sia italiano? Forse che questo possa avere una qualche importanza ai fini delle indagini o della comprensione del fatto? L’unica conseguenza che si ravvisa è che, come è emerso dalla letteratura scientifica, c’è una larga sovrastima dei reati commessi dagli immigrati. A ciò si aggiunge una sovrapposizione, altrettanto omologante, tra clandestini e immigrati regolari, che sarebbero in numero molto superiore. Così come è in numero superiore quanto l’Italia incassa (giusto per mantenerci sul fronte dei numeri) rispetto a quello che spende (fermo restando la mole di sprechi e di bustarelle assolutamente esistenti – e relativa repellenza – e la insostenibilità di quello che si è detto non più migrazione ma “esodo”). Ma questa è un’altra storia ed è bene che venga tratta separatamente.

Ma la diversità! Etimologicamente viene dal latino, separare, allontanare. Eppure tutte le definizioni che tengono conto della sua origine etimologica pongono l’accento sul fatto che essa non è statica, fine a se stessa, ma volta la cambiamento, presupposto per un moto, spostamento, che porta chi vi riflette a metamorfosi. Sempre così è stato fin dall’alba dei tempi e solo così si sono formate le culture, diverse tra loro ma esse stesse frutto di diversità. Basti pensare a tutte le dominazioni che l’Italia ha avuto, le cui eredità si rintracciano nella stessa nostra lingua. E allora perchè la paura? Forse perchè stavolta si parte dal presupposto che noi siamo i migliori? Certamente questa componente è presente. Ma abbiamo mai pensato a cosa un immigrato pensa di noi? Lo abbiamo mai chiesto? Qualcuno lo ha fatto e non ne è rimasto molto contento. Ci sentiamo offesi? Perchè dovremmo se siamo certi di essere nel giusto? Ci vogliono al contempo umiltà e coraggio, oltre che sicurezza, per poter vedere la realtà attraverso gli occhi di un altro.

Molteplicità, dunque, che non deve far smarrire ma fornire nuove mappe, nuove torce a seconda del livello di oscurità di quel particolare cunicolo. E stiamo attenti a non distorcere, però, quanto ci è prestato attraverso gli occhi del diverso, come accade ancora oggi a chi, con scopo legittimante, continua a dire che l’Islam non potrà mai abbracciare la democrazia e che persino il Corano è un libro di guerra. Le argomentazioni di costoro? Oriana Fallaci. Munendoci del giusto rispetto per ciò che ha rappresentato una brava giornalista e altrettanto brava scrittrice, può essere qualcosa vera e più una tesi essere fondata perchè era anche un’idea di Oriana Fallaci? Persino la Bibbia oggi non è più alla stregua del Codice di Procedura Penale!

Solo questo riesco a vedere, oggi, come un caposaldo nella baraonda speculativa, e cioè che cambiano i cibi che cuciniamo, cambiano i nomi delle divinità che preghiamo, cambiano le parole con cui diciamo “uomo”, ma – come diceva Malcolm X – russiamo tutti nella stessa lingua. Siamo tutti “razza umana”, risposta, questa, di Einstein, quella volta, alla domanda del passaporto.

Tutto questo potrebbe risultare scontato, oggi che siamo moderni, oggi che studiamo sui libri di storia che la Shoah e l’Apartheid sono una cosa brutta, eppure, da quel che vedo, l’uomo ha ancora bisogna che glielo si dica, che non ha imparato nulla, che non è cambiato. Persino i bambini, ben istruiti dai genitori, quando non sono bulli, preferiscono evitare di sedersi sulla stessa sedia su cui è stato il compagno di colore.

Potrei continuare a scrivere, e ci sarebbero così tante cose da dire ancora! Scelgo di fermarmi, onde evitare sovraccarico disfunzionale, controproducente. E forse questo basta già, per riflettere.

Giulia Sottile