La letteratura è tema di fondo ricorrente in “Il Vulcano e la sua anima” quale importante animatore della vita culturale dell’isola ma anche privilegiato oggetto d’osservazione anche giornalistico dell’Autore. Appaiono aneddoti su grandi scrittori dell’altro ieri, come Luigi Pirandello, a proposito della disputa sul senso e sulla valenza dell’impegno politico e civile dell’intellettuale, della politicizzazione della Letteratura e dunque delle acrobazie mentali a cui furono costretti gli storici per redimere autori come lo stesso agrigentino, che era «fascista, anzi no». Dovevano arrivare Leonardo Sciascia, chiamando in causa Voltaire, a legittimare il disimpegno politico senza che esso fosse necessariamente privo di funzione di stimolo civile, eAntonio Borgese a leggere con senso critico il fascismo in Italia (fenomeno in cui confluivano «ansia di rinnovamento e purificazione, opportunismo e affari, disperati e conservatori, canaglie e cherubini» … senza che questa definizione ci susciti necessariamente istintivi parallelismi con altri fenomeni contemporanei!).
Fuor di politica, compaiono anche figure come quella di Gesualdo Bufalino (a proposito del piacere di procrastinare il licenziamento di uno scritto) e di Nunzio di Giacomo (che iniziò come compilatore occulto di tesi) col quale vi era un’amicizia iniziata tra i banchi di scuola (persino consacrata da un’accesa disputa a sfondo letterario conclusasi con un manrovescio), come quella tra Manlio Sgalambro eSebastiano Addamo. Compaiono, anche qui con l’intento di mettere in luce l’umanità negli scrittori, Giuseppe Bonaviri, Lara Cardella, Salvatore Nigro, Ignazio Buttitta,Elvira Giorgianni Sellerio la quale – quest’ultima – testimonia come, da Sandron a Prampolini a Giannotta a Sellerio, «“da 150 la letteratura italiana è siciliana”» (purtroppo più all’epoca che ancor oggi).
E poi c’è la Sicilia dei premi letterari, come il premio Brancati Zafferana a Dominique Fernandez, a Taormina, il quale rilascia dichiarazioni sulla Sicilia che nemmeno un siciliano potrebbe sperare (o riuscire?) di dire e tantomeno di sentire dentro di sé: «“Per me la Sicilia è un serbatoio di ricchezza per il suo genio creativo. Metà dei grandi scrittori italiani sono siciliani. Non è un caso, perché c’è un fermento di idee ricchissimo di passioni, talvolta persino eccessivo”», anche se a ciò aggiunge: «“Credo che i popoli non cambiano. Mutano solo le cose superficiali, non la mentalità e i rapporti familiari. La famiglia in Sicilia è rimasta la stessa”».
All’epoca fu conferito anche un altro premio letterario, il premio Novecento, all’Università di Palermo, a Jorge Louis Borges, considerato un po’ come il cantore cieco alla corte di Alcinoo e dipinto da Scalia, allora presente come corrispondente con penna e appunti, nella sua genialità come nella profonda umanità, con le suggestioni che esercitava sul pubblico e sulla sua stessa persona e con qualche alzata d’ingegno da scrittore frustrato dal mancato successo in preda all’invidia dinnanzi al trionfo del pur indiscusso mostro sacro di Borges, quale fu l’intervento in quell’occasione di Silvana La Spina.
Ma anche la Letteratura è piena di “risentiti” e di invidie, così come anche di plagi. «La storia della letteratura è piena di plagi» e Salvatore Scalia porta gli esempi di Rosa Giannetta Alberoni (che «Se avesse letto di più e scritto di meno, magari avrebbe potuto copiare un libro meno conosciuto»), del «più furbo» Milo De Angelis(saccheggiatore di versi dei meno noti Armando Patti, Clio Pizzingrilli e Elio Tavilla – che tuttavia aveva all’epoca fatto in tempo a pubblicare i suoi scritti sulla rivista Lunarionuovo insieme alla silloge edita da Prova d’Autore) e di Croce Zimbone, lui plagiatore spregiudicato, vero e proprio «artista, ma della beffa» che negli anni ’70 contrabbandò i propri scritti, che i critici avevano ignorato se non apertamente respinto, come opere di Verga o di Capuana, truffando seri studiosi quali Vittore Branca e Massimo Bontempelli (Pirandello morì in tempo al di qua dall’occuparsene) e lo stesso “Corriere della sera”. Fu allora Gino Raya a smontare l’impalcatura.
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In “Il Vulcano e la sua anima” però c’è spazio pure per l’arte, il cinema e per il mondo dello spettacolo, con aneddoti che ci danno contezza di cosa animava la vita culturale locale, tra disincantato approccio di chi ha ampie vedute e osservatorio ristretto di chi non è mai uscito dal proprio paese. Un paragrafo è dedicato ad Antonio Presti, allora giovane e ambizioso artista, che da lì in avanti sino a oggi non ha mancato di farsi sentire e vedere in iniziative che non smentiscono la linea di ieri, che, forse, avrebbero portato l’Autore, più che ad annoverare Presti tra i mecenati, a inserirlo nel successivo capitolo intitolato “La maschera e la tragedia”. Ma anche questa testimonianza di “Il Vulcano e la sua anima” è un documento sul sentire e sapere dell’epoca.
Spazio è dedicato anche alle giovanissime sorelle Giammona sul set di “La terra trema” e a come un piccolo paesino di pescatori come Acitrezza nell’immediato secondo dopoguerra reagiva all’irruzione di una troupe del nord col progetto di illustrare uno spaccato di storia locale (la tragedia quotidiana e il volto primitivo della Sicilia). Spicca tra le righe il contrasto tra i moderni sistemi dell’industria cinematografica e la misera retribuzione per le due ragazzine che comparivano tra i personaggi principali a fronte dell’onorario riservato invece ad Anna Magnani e persino alle comparse.
Non potevano mancare Marta Marzotto, col suo rapporto con Guttuso, e Pippo Baudo con tanto di folla adorante in delirio come passasse il Papa, impegnata in congetture sulla vita privata del protagonista del momento, talmente impegnata come essa stessa ne facesse parte (e verrebbe da pensare che i personaggi pubblici e dunque famosi con origini siciliane rappresentassero e rappresentino un po’, per la gente con istanze di riscatto sociale, i paladini e i rappresentanti di quelle stesse istanze così portati sul podio della vittoria, una risposta nazionale a un movente regionale, una risposta della Sicilia stessa all’Italia).
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Scrittore raffinato e giornalista affermato, Salvatore Scalia, che sin dall’esordio si introduceva a pieno titolo nel panorama letterario d’alto scaffale, ha affinato sempre più le lame del mestiere e occupa uno spazio di primordine tra gli autori contemporanei. È autore di opere come “Teatro. Trilogia del malessere”, “Il processo a Bixio”, “Appunti” (dall’omonima rubrica su “La Sicilia”), i romanzi “La punizione” e “Fuori gioco”, in ambito teatrale di “Confessioni di un pentito” e “L’estorsione” a testimonianza di un impegno anche civile, sino al più recente “L’Apocalisse degli Automi” – su cui ho scritto in altra occasione (cfr. http://www.provadautore.it/?q=node/658)– in parallelo alla continua e inesauribile attività giornalistica.
Giulia Sottile