Le fu assegnato un numero, il 29, e lei lo giocò a suo modo per nascere e per morire. Poi un mese, agosto, e lei lo giocò a suo modo per nascere e per morire. La bellezza è un’idea che non può subire contaminazioni. Eppure Ingrid beveva e fumava, e fumava, beveva e fumava. Mangiava quattro gelati al giorno e scorte senza fondo di arachidi. All’apice dei suoi 35 piccoli anni avrei voluto essere il suo dentista per annusarne il fiato e studiarne la perfetta simmetria dei denti; avrei voluto esserne l’oculista, dentro l’occhio, il parrucchiere, dentro il capello, il truccatore, dentro il labbro, il fotografo, dentro il poro. Ma amante mai, quel calibro ha in sé il proiettile infallibile della dannazione. Ne sarei morto dopo pochi mesi, di crepacuore, forse suicida, rovinosamente suicida. Alla felicità, che tutti eppure rincorriamo, prevale sempre quello stupido istinto di conservazione. E restiamo infelici, che sciocchi! Però sì, oggi lo confesso, mi sarebbe piaciuto tanto incontrarla, anche solo per una settimana, solo per me, amico innamorato e sofferente, in quel 1950 che s’affacciava su Stromboli e su una nazione appena uscita dalla guerra. Come Greta, Marilyn, Marlene, come Grace. Della tristissima felicità, la testimonianza. Perché allora? Quale il senso? La risposta si rivela proprio in momenti terribili come questo. Dio passa per gli occhi di una donna che sorride; non la sceglie, non la pensa, la fa. E, a un certo punto, ce la mostra. Così ha creato la vita: femmina. Agli spettatori, agli altri, maschi, figli, mariti, amanti, il compito di custodirla, e non dico più gelosamente, sarebbe il poco di un troppo poco. Ingrid,Greta, Marilyn, Marlene, Grace: ricordatevi di noi. Ovunque siate, ovunque la vostra bellezza rinasca in bellezza e rinascendo ci liberi da questa untuosa cappa di lutto.

Vladimir Di Prima