Ricordare Franco Battiato oggi ad un giorno dal suo passaggio, mi evoca grandi emozioni, quelle che probabilmente non sono del tutto contenibili e neppure descrivibili completamente con le parole.
Ma questo vuole essere un modo per esprimere la mia gratitudine e omaggiare la sua arte e la sua anima, che torneranno sicuramente a “trovarci” ogni qualvolta riascolteremo i suoi testi garbati e poetici e ci faremo rapire dalla sua musica “inebriante e mistica.
Su quelle note danzeremo nello spazio e nel tempo infinito, ove “tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà”
Grande artista e Maestro, anche se lui non amava farsi chiamare così, probabilmente per la modestia che gli apparteneva e perché riteneva semplicemente di essere stato fortunato nella vita.
Il passaggio dalla vita a quella che chiamiamo morte è l’argomento rimosso dei nostri tempi. Ma in realtà la morte non è fine. Non è inizio, ma passaggio.
Così scriveva Franco Battiato nel libro Lo Stadio Intermedio, pubblicato nel 2016, in cui si interrogava con Gianluca Magi sulla morte e sulla paura di morire.
Non perire, dunque, ma passaggio dalla vita.
Un passaggio, che trova probabilmente la sua compiuta espressione artistica nel brano “Torneremo ancora”, inserito nell’omonimo album, pubblicato nel 2019 e che ha purtroppo annunciato l’uscita dalla scena da parte dell’artista.
Il suo passaggio è avvenuto forse come inconsciamente desiderava lui: una mattina di maggio, da “danzatore immobile, come quel filo d’erba che s’inchina alla brezza di maggio o alle sue intemperie”. Ciò scriveva con “Haiku”, canzone che esprime un percorso introspettivo, intriso di meditazione e di sonorità mediorientali, confluita nel 1993 nell’Album Caffè de La Paix. Album pubblicato al termine di un periodo della sua carriera che lo ha visto dividersi tra il richiamo della Classica e le suggestioni del mondo arabo, rese ancor più intense dopo il concerto tenuto a Baghdad insieme ai Virtuosi Italiani e all’orchestra nazionale irachena.
Qui, il sincretismo di Battiato riesce a tenere insieme gli elementi culturali più disparati: dalla mitologia classica all’epopea dell’Impero romano, dalle tecniche di meditazione arabo-orientali alla filosofia buddhista, dal dialogo tra Cristianesimo e Islam alla poesia giapponese. Il tutto trasferito sul pentagramma con arrangiamenti sinfonici di rarefatta eleganza.
In “Lode all’inviolato” Battiato individua quella luce di speranza perché “le nuvole non possono annientare il sole…”, ove si può percepire chiaramente la tensione spirituale che contraddistingue spesso il cantautore.
Ascoltando le sue canzoni si ha la sensazione che Battiato ci voglia invitare ad un viaggio, ove “tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà”, rivolto all’essenza delle cose, alla ricerca di quell’Amore puro, di quel “sentimento mistico e sensuale che nasce da meccaniche divine”.
Franco Battiato ha costruito un percorso musicale davvero unico nel panorama italiano.
Raffinato compositore, studioso dagli sconfinati orizzonti, ha praticato l’arte della canzone pop affiancandovi linguaggi e riferimenti diversissimi, sia in campo musicale che in altre forme di espressione artistica, come il cinema, la pittura, l’opera.
E’ stato certamente uno sperimentatore, se si pensa che negli anni ’70 produceva album come «Fetus» e «Pollution», che hanno fatto scoprire all’Italia le risorse della musica elettronica e le concezioni più avanzate del rock di quelle stagioni e le contaminazioni con i grandi autori di musica contemporanea.
Del suo grande successo commerciale parlava con la sua magistrale ironia e il suo proverbiale e sofisticato senso dell’umorismo, forse, come d’altronde accade per tutti gli artisti, non sempre compreso.
Uomo semplice e schivo, si è fatto accompagnare dolcemente dalle sue passioni che lo hanno condotto al passaggio da questa vita verso quella calda luce, quale essere luminoso, ove l’anima potrà viaggiare libera e raggiungere “quel mondo inviolato che ci aspetta da sempre”.

Fabiola Marsana
Milano, 19 maggio 2021