1. Nelle mie periodiche divagazioni sul “giallo nordico” e sugli autori che lo hanno reso famoso al pubblico – generalmente coincidenti con i periodi festivi, in cui mi allontano dalle mie amate carte processuali – ho frequentemente parlato di Henning Mankell, che insieme a Per Walöö e Maj Siöwall, ho sempre ritenuto uno dei “padri nobili” di questo genere letterario, la cui affermazione sulla scena letteraria internazionale deve molto all’opera narrativa di questo scrittore svedese.
Non si può, del resto, parlare del “giallo nordico” senza parlare o comunque accennare alla figura letteraria di Henning Mankell, che, come ho già detto in altre occasioni divaganti, è molto più che un Autore di romanzi noir e si colloca nel panorama culturale scandinavo come un vero e proprio pioniere, la cui importanza finisce per trascende lo stesso genere poliziesco che gli ha dato il successo e la notorietà internazionale, a partire dal primo romanzo della serie incentrata sul commissario Kurt Wallander, intitolato Assassino senza volto (Mördare utan ansikte, 1991).
Infatti, Henning Mankell, che è nato a Stoccolma nel 1948 ed è morto a Göteborg nel 2015, non è solo uno straordinario raccontatore di trame noir, è anche drammaturgo di fama internazionale ed è un pezzo, fondamentale, della cultura scandinava contemporanea, che ha fatto conoscere al mondo intero nell’ultimo ventennio come pochi altri esponenti della stessa area geografica, al di là dei confini del “giallo nordico” che pure gli hanno dato fama e notorietà internazionale.
Henning Mankell, dunque, non è solo uno straordinario narratore e un pioniere del “giallo nordico”, ma è soprattutto un grande intellettuale dell’Europa contemporanea, che non è facile raccontare negli spazi ristretti di una divagazione letteraria.
Basti considerare al suo impegno storico a favore della cultura africana, che lo ha portato a fondare e a dirigere il teatro Avenida, a Maputo, in Mozambico, dove, prima di morire, ha trascorso una parte significativa degli ultimi anni, trovando ispirazione per molte delle sue opere narrative più riuscite.
Basti, ancora, considerare alle sue molteplici iniziative editoriali, finalizzate ad aiutare giovani scrittori ad affacciarsi sulla scena letteraria internazionale, che lo hanno portato, nel 2001, a fondare la casa editrice Leopard, costituita da Henning Mankell per fare conoscere narratori generalmente esordienti.
Basti, infine, considerare che Henning Mankell è il genero del regista svedese Ingmar Bergman, avendone sposato nel 1985 la figlia, Eva Bergman, anch’ella registra teatrale come il marito e il padre; entrambi insostituibili figure intellettuali del mondo scandinavo e significativi artefici della diffusione della cultura del loro Paese.
La grandezza di Henning Mankell, al contempo, rende difficile trovare dei seguaci, o forse è meglio dire degli epigoni letterari, non essendo facile individuare degli autori che, partendo dal “giallo nordico” e attraversandolo, rappresentano con le loro opere il mondo scandinavo nei suoi risvolti, culturali, sociali, ambientali.
Pur con queste difficoltà, mi vorrei però cimentare con uno degli autori di “gialli nordici”, che, a mio giudizio, maggiormente si avvicina alle opere di Henning Mankell – soprattutto quelle che vedono come protagonista il commissario Kurt Wallander – e che, con i suoi romanzi, ricorda più da vicino le atmosfere scandinave e le narrazioni dello scomparso Maestro: Håkan Nesser.
2. Cominciamo con l’osservare che Håkan Nesser, che è nato a Kumla, in Svezia nel 1950 e che prima di dedicarsi a tempo pieno all’attività di narratore è stato un insegnante liceale, è un Autore di romanzi riconducibili al “giallo nordico”.
Occorre aggiungere, in questo primo approccio al nostro Autore, che Håkan Nesser, pur avendo avuto grande successo nel mondo scandinavo, nel nostro Paese è meno noto di altri Autori ascrivibili allo stesso genere letterario.
Håkan Nesser è conosciuto nel nostro Paese per due saghe letterarie di matrice noir, che hanno per protagonisti due investigatori “nordici” e atipici: il commissario Van Veeteren e l’ispettore Barbarotti. Questa atipicità deriva ai due investigatori creati da Nesser dal loro modo di dipanare le indagini di cui si occupano – incentrato sulle deduzioni investigative e sulle riflessioni sugli autori dei crimini di volta in volta indagati – e dal loro atteggiamento disincantato verso l’esistenza umana, che li accomuna alla figura di Kurt Wallander, di cui, a buon diritto, devono essere considerati degli epigoni letterari.
Håkan Nesser, invero, è anche Autore di altre opere narrative – tra cui il bellissimo Il ragazzo che sognava Kim Novak (Kim Novak badade aldrig i Genesarets sjö, 1998) – anche se in questa occasione ci occuperemo solo dei cicli narrativi che gli hanno dato notorietà letteraria sulla scena internazionale, incentrati sulle figure del commissario Van Veeteren e dell’ispettore Barbarotti.
3. Il commissario Van Veeteren, che è il protagonista di una delle due saghe letterarie che hanno reso noto nel panorama letterario Håkan Nesser, vive nell’immaginaria città di Maardam, che è ubicata in un Paese indefinito dell’Europa settentrionale.
La città di Maardam, per la verità, non sembra ubicata in Svezia, anche perché l’utilizzo ricorrente di alcuni toponimi e la descrizione dei luoghi narrati dall’Autore potrebbero far pensare a un’ambientazione olandese dei racconti noir in esame; tra l’altro, in uno dei romanzi del ciclo narrativo il commissario Van Veeteren, citando un libro di Leon Rappaport, dice di non sapere leggere lo svedese, confermando che l’ambientazione dei racconti in questione è nordica ma non svedese.
Questo ciclo narrativo si incentra su dieci romanzi, pubblicati in Italia presso la Casa editrice Guanda di Parma, intitolati La rete a maglie larghe (Det grovmaskiga nätet, 1993); Il commissario cade in trappola (Borkmanns punkt, 1994); L’uomo che visse un giorno (Återkomsten, 1995); Una donna segnata (Kvinna med födelsemärke, 1996); Il commissario e il silenzio (Kommissarien och tystnaden, 1997); Il dovere di uccidere (Münsters fall, 1998); Carambole (Carambole, 1999); Un corpo sulla spiaggia (Ewa Morenos fall, 2000); La rondine, il gatto, la rosa, la morte (Svalan, katten, rosen, döden, 2001); Il caso G (Fallet G, 2003).
Occorre anche dire, per non confondere gli eventuali neofiti della serie, che mi auguro crescano nel tempo, che l’ordine di pubblicazione del ciclo romanzesco incentrato sul commissario Van Veeteren non corrisponde alla sequenza temporale degli eventi narrati, atteso che la Casa editrice Guanda ne ha curato la pubblicazione, con la magistrale traduzione di Carmen Giorgetti Cima, senza osservare la sequenza narrativa originaria, pur dovendosi precisare che il primo romanzo pubblicato in Italia nel 2001 – intitolato La rete a maglie larghe (Det grovmaskiga nätet, 1993) – è anche la prima opera pubblicata in Svezia ad avere per protagonista l’investigatore di Maardam.
In tale ambito, occorre evidenziare ulteriormente che la fortuna di questo ciclo narrativo e della figura investigativa su cui si incentra è testimoniata dal fatto che al commissario Van Veeteren sono state dedicate diverse fiction, interpretate dall’attore svedese Sven Wollter, alcune delle quali scritte espressamente da Håkan Nesser per la televisione, come Moreno & tystnaden, andata in onda nel 2006.
La fortuna del ciclo narrativo incentrato sul commissario Van Veeteren è anche testimoniata dal fatto che, nel 2000, Håkan Nesser, con Carambole (Carambole, 1999), si è aggiudicato il Premio Glasnyckeln per il miglior romanzo poliziesco scandinavo.
Ma chi è il commissario Van Veeteren?
Dai romanzi del ciclo narrativo che lo riguardano questo investigatore risulta essere nato nell’immaginaria città di Maardam intorno al 1945, come è desumibile dalle varie età che vengono proposte ai lettori nel corso dei dieci romanzi che compongono la saga, dovendosi precisare che, all’inizio della serie il commissario è un cinquantenne divorziato, senza legami sentimentali stabili e con due figli nati dal precedente matrimonio, con cui si incontra sporadicamente.
Con il proseguire del ciclo narrativo, il commissario Van Veeteren si ritirerà dalla professione, iniziando a gestire un negozio di libri d’antiquariato – chiamato Krantze – e instaurando una relazione sentimentale stabile con Ulrike Fremdli, pur continuando a occuparsi, sia pure indirettamente di indagini su omicidi; Van Veeteren, infatti, fornisce consigli ai suoi ex colleghi, che continuano a lavorare presso il Commissariato di polizia di Maardam, sulle vicende investigative più difficili da risolvere, come nel caso di Carambole (Carambole, 1999), Il dovere di uccidere (Münsters fall, 1998) o Un corpo sulla spiaggia (Ewa Morenos fall, 2000).
A questi caratteri narrativi, che già rendono il commissario Van Veeteren molto simile al commissario Kurt Wallander, occorre aggiungere alcune altre caratteristiche tipiche del protagonista dei romanzi noir di Mankell, costituite dal fatto che l’investigatore di Maardam ha un carattere schivo e non è ambizioso professionalmente; rifugge l’uso delle armi, che raramente utilizza nel corso delle indagini che lo vedono impegnato; evita di mettersi in primo piano nel corso delle complesse investigazioni di cui, quasi suo malgrado, è costretto a occuparsi.
Un altro elemento che accomuna le narrazioni che vedono come protagonisti il commissario Wallander e il commissario Van Veeteren è costituito dalle caratteristiche topografiche dei luoghi dove sono ambientati i romanzi di Mankell e Nesser, rappresentati, nel primo caso, dalla città svedese realmente esistente di Ystad, nella Scania, nel secondo caso, dalla città immaginaria di Maardam, di cui si è già detto. In entrambi i casi, si tratta di piccole realtà urbane, caratterizzate dalla loro natura di cittadine dell’Europa settentrionale, nelle quali i protagonisti della narrazione sono immersi, interagendo con l’ambiente, che diventa una sorta di deuteragonista dei racconti noir in questione.
Inoltre, come per il ciclo narrativo incentrato su Wallander, i romanzi del commissario Van Veeteren si caratterizzano per il loro stile letterario di stampo simenoniano, in cui le indagini sui crimini investigati e le riflessioni esistenziali del protagonista si sviluppano attraverso un percorso narrativo deduttivo, descritto con una chiarezza esemplare. Da questo punto di vista, lo stile del nostro Autore collega i romanzi in questione, oltre che alla saga del commissario Kurt Wallander, ai gialli di tipo deduttivo, come quelli di Arthur Conan Doyle e Rex Stout, che vengono arricchiti da una capacità di analisi introspettiva del protagonista, che è il frutto delle riflessioni che Håkan Nesser pone a fondamento dell’incedere investigativo di Van Veeteren; caratteristica narrativa, questa, che verrà ancor più ampliata nei racconti noir che vedono come protagonista Gunnar Barbarotti, di cui ci occuperemo di qui a breve.
Queste riflessioni ci fanno comprendere come gli omicidi sui quali di volta in volta indaga il commissario Van Veeteren sono solo una parte di un fenomeno più ampio, espressione di un malessere interiore dell’assassino, in conseguenza del quale il crimine viene realizzato, al culmine di uno stato di sofferenza personale esploso in modo, solo apparentemente, violento e irragionevole; e anche questa ci sembra una caratteristica che accomuna i romanzi incentrati sulla figura di Van Veeteren a quelli che hanno per protagonista Wallander, tra i quali ultimi mi sembra utile richiamare La quinta donna (Den femte kvinnan, 1996), Delitto di mezza estate (Steget efter, 1997) e Muro di fuoco (Brandvägg, 1998).
Queste caratteristiche narrative emergono in maniera esemplare nel romanzo più fortunato della serie incentrata sul commissario Van Veeteren, intitolato Carambole (Carambole, 1999).
In quest’opera, il commissario Van Veeteren è ormai in pensione e si occupa della sua libreria antiquaria, senza essere coinvolto sotto il profilo investigativo, nella parte iniziale del racconto, nella serie di omicidi oggetto della narrazione, che hanno inizio quando un guidatore investe accidentalmente un ragazzo che cammina sul ciglio della strada, uccidendolo. Da questo episodio iniziale si sviluppano una serie di omicidi, conseguenti al ricatto che un ignoto testimone dell’omicidio stradale pone in essere nei confronti dell’assassino, che traggono origine da incontri casuali – appunto delle carambole, al contempo esistenziali e criminali – sui quali, alla fine del romanzo, Van Veeteren riuscirà a fare luce, collaborando con i suoi ex colleghi di Maardam.
In questa stratificata cornice, il racconto di Håkan Nesser si sviluppa attraverso un approfondito lavoro di introspezione sui protagonisti di queste carambole esistenziali e criminali, raccontando i pensieri e le vite private dei soggetti coinvolti nelle vicende attraverso cui si sviluppa il romanzo, che incrociano casualmente le proprie esistenze e incrociandole le modificano in modo drammatico, fino al momento catartico finale, in cui si disvelano gli intrecci delinquenziali che tengono desta l’attenzione del lettore per tutto il romanzo.
4. L’altro protagonista dei romanzi noir di Håkan Nesser è l’ispettore Gunnar Barbarotti, un investigatore svedese, di origine italiane per parte di padre, che opera nella cittadina di Kymlinge, anche essa immaginaria come Maardam, ma collocata narrativamente in Svezia.
Devo anche confessare che mi dedico con particolare piacere a parlare di questo ciclo narrativo, che unitamente a quello di Henning Mankell, incentrato sulla figura di Kurt Wallander, è, nel mio personale archivio del “giallo nordico”, la saga romanzesca che preferisco.
Cominciamo, allora, con il dire che questo ciclo narrativo si sviluppa in cinque romanzi, anch’essi, come quelli incentrati sul commissario Van Veeteren, pubblicati in Italia presso la Casa editrice Guanda di Parma, intitolati L’uomo senza un cane (Människa utan hund, 2006); Era tutta un’altra storia (En helt annan historia, 2007); L’uomo con due vite (Berättelse om herr Roos, 2008); L’uomo che odiava i martedì (De ensamma, 2010); Confessioni di una squartatrice (Styckerskan från Lilla Burma, 2012).
Anche queste opere, come quelle del ciclo sul commissario Van Veeteren, sono magistralmente tradotte da Carmen Giorgetti Cima, con la sola eccezione di L’uomo che odiava i martedì (De ensamma, 2010), della cui traduzione si è occupata Barbara Fagnoni.
L’ispettore Barbarotti è un personaggio alquanto atipico, essendo italiano per parte di padre; un padre che però non ha mai conosciuto, avendo abbandonato la madre poco dopo la nascita del figlio, che, solo alla fine del ciclo narrativo, si metterà alla ricerca del genitore.
Occorre anche aggiungere che nella parte iniziale del primo romanzo della saga, L’uomo senza un cane (Människa utan hund, 2006), la figura di Gunnar Barbarotti – in termini analoghi a quanto si è già detto a proposito del commissario Van Veeteren – appare molto simile al modello narrativo impersonato da Kurt Wallander. Basti pensare che l’indagine che si sviluppa in questo romanzo si colloca cronologicamente in prossimità delle feste natalizie che Barbarotti si preparava a trascorrere con l’ex moglie e gli ex suoceri, con una prospettiva per lui tutt’altro che allettante; scenario, questo molto, simile ai rapporti problematici che Wallander intrattiene con l’ex moglie Mona.
Tuttavia, con il procedere della narrazione de L’uomo senza un cane (Människa utan hund, 2006) e con l’ulteriore sviluppo della saga incentrata su Barbarotti, ci si accorge subito che ci si trova di fronte a un personaggio assolutamente originale nel panorama del “giallo nordico”, che presenta alcune caratteristiche che lo collocano una posizione di particolare rilievo in questo contesto letterario.
In questa cornice, una delle caratteristiche peculiari della narrazione incentrata sull’ispettore Barbarotti è costituita dai suoi monologhi interiori con Dio, al quale il nostro protagonista si rivolge in modo diretto, fin dal primo romanzo del ciclo narrativo, L’uomo senza un cane (Människa utan hund, 2006), ricevendo dei suggerimenti, in realtà frutto del suo intimo monologare.
Con Dio Barbarotti interagisce in modo costante nei racconti che lo vedono protagonista, che descrivono questo rapporto in modo scherzoso, dando vita a una sorta di deus ex machina narrativo che deve costantemente dimostrare la sua esistenza al protagonista. Come ha detto lo stesso Nesser in una intervista del 2014: «Ho cominciato a scrivere del rapporto tra Barbarotti e Dio in modo molto divertente, creando un Signore che doveva dimostrare la propria esistenza. Poi nei romanzi successivi ho voluto che questo rapporto si trasformasse in qualcosa di più serio. Lei ha ragione nel dire che tento di rendere Dio più comprensibile» (https://contornidinoir.it, 3 ottobre 2014).
I monologhi interiori di Gunnar Barbarotti, del resto, sono una cifra costante delle narrazioni di Håkan Nesser incentrate sull’investigatore italo-svedese, tanto è vero che nell’ultimo romanzo della serie, Confessioni di una squartatrice (Styckerskan från Lilla Burma, 2012), ai consueti dialoghi con Dio, l’Autore affianca i colloqui interiori che il protagonista intrattiene con la moglie che aveva sposato dopo essersi separato, da poco defunta. Ancora una volta, ci fa comprendere il senso di questa tecnica narrativa lo stesso Autore, che nell’intervista sopra richiamata, osserva: «Se Dio esiste – e io credo che esista – secondo me a Lui va assolutamente bene che i morti possano parlare con i vivi e questo per me è una fonte di speranza. Penso che queste connessioni siano possibili, e lo penso perché le nostre menti sono estremamente complesse e anche perché Dio è estremamente complesso» (https://contornidinoir.it, cit.).
Tali peculiarità narrative fanno del ciclo narrativo incentrato su Gunnar Barbarotti un elemento di novità importante nel panorama del “giallo nordico”, che, a mio avviso, costituiscono un passo in avanti rispetto alle opere del ciclo narrativo incentrato sulla figura del commissario Van Veeteren.
Queste caratteristiche narrative emergono in maniera esemplare nell’ultimo e più malinconico romanzo della serie incentrata sull’ispettore Barbarotti, intitolato Confessioni di una squartatrice (Styckerskan från Lilla Burma, 2012).
Come abbiamo detto, questo romanzo consegue cronologicamente alla morte inaspettata della donna che Gunnar Barbarotti, già separato, aveva sposato.
Dopo questo evento luttuoso, l’ispettore Barbarotti è immerso nel suo dolore e paralizzato professionalmente, non essendo facile concentrarsi sul lavoro quando i pensieri sono lontani, immersi nel dolore di una tragedia personale in conseguenza della quale gli sembra impossibile ricominciare a vivere una vita normale.
Per aiutarlo, il suo capo, il commissario Asunander, gli affida un vecchio caso irrisolto, all’apparenza semplice, costituito dalla sparizione di un uomo che si era allontanato, a bordo della sua motocicletta, dalla sua casa di campagna per non farvi più ritorno.
Il suo corpo non è mai stato ritrovato e l’unica indiziata – la sua convivente – non ha mai confessato. L’attenzione degli investigatori, del resto, si era concentrata inevitabilmente sulla sua convivente, perché è una donna nota alle cronache giornalistiche come “la squartatrice”, avendo in passato ucciso e fatto a pezzi il marito violento, scontando una pena di undici anni di prigione.
Le indagini, quindi, si dipanano lentamente, collegando la scomparsa dei due uomini in un filo narrativo misterioso e doloroso, attraverso il quale Barbarotti cerca di capire se la donna, nonostante siano passati venti anni dal primo omicidio, che gli è valso l’appellativo di “la squartatrice”, abbia continuato a uccidere, diventando un’assassina seriale.
Così, incoraggiato dalla collega Eva Backman, che lo sostiene da un’affettuosa distanza, Gunnar Barbarotti inizia la sua faticosa indagine, quasi svogliatamente, entrando piano piano nel cuore di una vicenda criminosa, dai tanti lati oscuri, in cui si addentrerà con la consueta abilità, in un percorso narrativo che, come in tutti i romanzi del ciclo, è al contempo investigativo e umano, perché, attraverso le indagini, ci si addentra nei drammi che coinvolgono tante famiglie, all’interno delle quali si commettono atroci delitti, non sempre scoperti.
Confessioni di una squartatrice (Styckerskan från Lilla Burma, 2012), al contempo, non è solo uno splendido giallo, che indaga sui drammi che si consumano all’interno delle famiglie moderne, essendo anche un romanzo sulla perdita delle persone amate e sulla possibilità di superare il lutto che travolge l’esistenza di un uomo. In questo modo, Barbarotti, indagando sulla “squartatrice”, finisce per indagare su se stesso e sulla sua drammatica solitudine, in una sorta di gioco di specchi interiori tra investigatore e investigato.
E questo fa, a mio giudizio, di Confessioni di una squartatrice (Styckerskan från Lilla Burma, 2012) il migliore dei romanzi del ciclo narrativo incentrato sulla figura di Gunnar Barbarotti, costituendo la trama noir del racconto, ancor più che nelle altre opere di Håkan Nesser, un pretesto utilizzato per addentrarsi nella solitudine dell’esistenza umana, dalla quale traggono origine i crimini investigati dall’ispettore italo-svedese, che costituiscono uno spunto per una riflessione sull’Uomo e suoi drammi esistenziali.
5. Dopo avere descritto le linee fondamentali dei cicli narrativi di Håkan Nesser incentrati sul commissario Van Veeteren e sull’ispettore Barbarotti, non mi resta che consigliare a quanti non lo abbiano ancora fatto di intraprendere la lettura dei bellissimi romanzi di questo Autore, accostandosi al suo mondo letterario, che li aiuterà a comprendere le ragioni del successo dei “gialli nordici”.
alessandro centonze