Parole con due t le trovi spesso: hanno un terz’occhio qualche volta lesso. Usarle non conviene, specie adesso che in tutto il mondo è doppio anche il fesso: intendi quel che dico e avrai successo!

INTERCETTARE  Le due t del verbo intercettare le ritroveremo nei quattro rampolli di una famiglia i cui componenti discendono direttamente dal francese intercepter, quindi da interception, mentre indirettamente dai protonannavi latini interceptio / onis, della comune genitrice intercipere composta di inter (tra, in mezzo) e capere (afferrare). A questo punto bisogna tener conto di un figlio naturale del verbo:  l’lntercettamento, che essendo maschio cerca di prevalere sull’unica intraprendete femminuccia del casato, la umbratile Intercettazione. Ma procediamo con ordine: il verbo come tale si occupa del bloccare quel che gli capita a portata di controllo, sia essa una lettera, sia un mezzo di trasporto o una colonna di nemici in avanzata. Ma quando capita a carico di un pallone nel corso di una partita, il blocco dell’intercettare è per il tempo minimo di impadronirsi del pallone mentre un giocatore della squadra avversaria tenta di passarlo a un compagno. Detto questo vale la cautela di non fidarsi delle libertà che il verbo stesso si prende quando capta segretamente notizie riservate, senza bloccare e lasciandole proseguire. Operazione quest’ultima per la quale la mamma delega la figlia maggiore, intercettazione, sempre indaffarata in tandem con il fratello intercettatore e il fratellastro intercettamento. Infine, il nipotino ingegnoso di intercettare, si fa chiamare Intercettore, ed è tipo imprevedibile, va per le spicce, si trasforma in aereo da caccia velocissimo e porta sempre con sé la nonna per il momento di intercettare aerei nemici.

MATTO – Non lasciatevi imbrogliare su mattone accrescitivo di matto, perché il mattone è un laterizio, parola di etimo oscuro. In tale impellenza potete ricorrere a mattoide; ma rischiando non poco. E allora meglio optare per mattacchione, ma a patto di perdere di vista il matto, se è davvero e puramente tale, cioè un folle, un pazzo, e non tanto per dire o per modo di dire, cioè come il definire matto un soggetto bizzarro e stravagante. Infatti il mattacchione è il burlone, il buontempone capace di scherzare anche nei momenti seri e non per leggerezza, ma perché il mattacchione non ama stare tra musi duri.  C’è anchela mattana quando un mattacchione di qualità fuori serie, alza il volume e spacca la forma esibendosi in azioni sconsiderate scaturenti da un impulso poco normale e seguito da comportamenti sfrenati. E si capisce subito. Guardatevi invece da chi confonde matteria che rinvia alle stramberie solite dei ragazzi, con mattanza che prevede la presenza di tonni nella camera della morte. In questo caso giova sapere che matto deriva dal latino tardo mat(t)u(m), che corrisponde a = ubriaco fradicio, mentre la mattanza, sorella di mattatoio, deriva dal latino mactāre = sacrificare, immolare, con allusione agli animali che venivano offerti agli déi. E finalmente si arriva al nodo che separa il matto, il pazzo, folle o dissennato dallo scacco matto momento in cui lo scacco resta quale è sulla scacchiera, non subisce o dimostra alcuna alterazione, non cambia di materia o di colore o di poteri mentali che non ha, infatti scacco matto è la definizione della mossa con cui il giocatore di scacchi immobilizza il re dell’avversario, oppure, in senso figurale, il battere i concorrenti in un gara, o superarli in abilità e astuzia. Da scacco matto è sorta la voce del verbo intransitivo mattare col significato di stravincere, sbaragliare e con l’ausiliare del verbo avere. Ebbene? Scacco matto è locuzione copiata da una voce persiana che annunzia la morte del re (Ŝali māt = il re è morto).

Mario Grasso