Parole con due t le trovi spesso: hanno un terz’occhio qualche volta lesso. Usarle non conviene, specie adesso che in tutto il mondo è doppio anche il fesso: intendi quel che dico e avrai successo!

ELETTRO – Viene assicurata la vincita a chi proponga scommessa sulla parola più prolifica del vocabolario italiano. Fateci un pensierino e provate. Elettro, intanto, è sostantivo maschile e definisce un tipo di resina fossile, vitrea e d’un giallo brillante. Questo, che per comodità definiamo minerale, e poi riveleremo che è ambra gialla, possiede il potere di attrarre pagliuzze e frammenti di materiali, (basterà strofinarla con un panno qualsiasi) manifestando rudimentale anima (anche le cose, dunque, possono avere un’anima e non solo l’uomo cantato da Mina) elettrica. La parola bisnonna  di elettro è stata il latino electrum, mentre protonannava era stata la voce greca elektron (che significa ambra in quanto la famiglia era elektor che – udite udite – vuol dire brillante!) Il battesimo nei vocabolari europei fu tenuto dall’inglese che, manco a dirlo, lo chiamò electric. Poi dal matrimonio con il francese divenne elictrique, ma solo dopo tanto tempo; nel diciassettesimo secolo e, un secolo dopo dei cugini francesi, lo accogliemmo noi italiani, dandogli per nome elettro, ma più che un nome gli abbiamo dato un patronimico, un cognome. Infatti da allora in poi è stato il papà di un centinaio di figli da elettrauto a elettroforesi, elettrodiagnostica, elettrolisi, elettromagnete, elettrotecnica, elettroencefalografo … gli altri cento cercateli, annotateli e potete scommettere, se non trovate tipi che non scommettono con chi scommette.

FATTO: – Il fatto è questo – si dice – ma senza distinguere se sia passato prossimo di fare, o se, frattanto si è convertito all’aggettivo (o “in aggettivo”, fate voi). Come tutti sanno, ci può essere un monumento fatto di bronzo, come è ordinario trattare con un uomo fatto, se non lo si vuol definire maturo. Il conto è presto fatto in assenza dell’oste, il quale si troverà di fronte al fatto compiuto, e non vi racconterà quel fatto della settimana prima. Per non dire del femminile, che sarà da evitare e non solamente perché “Cosa fatta capo ha”. Ma, principalmente, per non lasciare intendere che non si tratta di una che si è appena fatta con una “pera”, una siringata, una fiutata di polverina. No e poi no! perché fatta significa guano d’uccelli! Immaginiamone due a confronto: una fatta di aquila e una fatta di canarino! Eppure noi continueremo a dire che una persona di tale fatta non sarà mai capace di scherzare; dando a immaginare che ci si riferisca a chi se l’è fatta addosso. Insomma, qualche pericolo, tra il fare e il farla, si può sempre correre, quando il facere latino diventa factum e l’italiano lo fattizia a cuor leggero con lingua in libera uscita. Chi può negare che tra detto e fatto è lungo il tratto? Ce lo ricorda anche il proverbio che “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”; ma noi imperterriti non smettiamo di “fare”: “Oggi ho fatto poco, ma domani farò di più”. Produrre, operare, bisogni corporali, tutto è “fare”. “La zia fa fatto il caffè, la gallina ha fatto l’uovo, il gallo ha fatto chicchirichì, il bue ha fatto un muggito e l‘asino ha fatto una ragliata che ha fatto vibrare la ciliegina sulla torta fatta perché nonna Michela quel giorno aveva fatto settant’anni, che poi la sera gli abbiamo fatto una serenata cantando quella canzone fatta da Gigi Cocolon, che comincia con: “Tu sei fatta di zucchero e miele / tu sei fatta di buone maniere”.

Mario Grasso