Il razzismo figlio dell’ignoranza
L’onorevole Meloni ha festeggiato la vittoria in Umbria mostrando indice e medio, impossessandosi
del segno “V” di Winston Churchill, che ne fece il simbolo della vittoria sul nazifascismo.
Certamente John Lennon, a letto con la moglie giapponese, non lo usava per scopi razzisti. Pure il
premio Nobel Nelson Mandela salutava anche con la “V”, lui che vinse l’apartheid.
La tragicità del razzismo, sempre affiorante, sta proprio nell’ignoranza. Oggi manca anche una
cultura di destra. Un tempo i giovani di destra facevano letture pericolose (Pound, Evola, Rauti), ma
leggevano. Oggi il razzismo è soltanto effetto di una sciocca convinzione: credersi migliori degli
altri. Perché un vero cristiano non può essere antisemita. Se non fossero esistiti, circa duemila anni
fa, quegli ebrei (San Paolo in primis) che avevano individuato in Cristo il loro Messia, non
avremmo la nostra religione e le nostre radici giudaico-cristiane; per non parlare delle centinaia di
premi Nobel, artisti e letterati, ebrei. A chi lancia cori e banane ai giocatori di colore bisogna far
presente che forse si tratta di una “razza superiore”, stante che il codice genetico dei “colored” è
più “ariano” di quello di noi mediterranei. Sebbene scientificamente non si riesca a dimostrare
l’esistenza delle “razze”.
Particolarmente noi italiani siamo un crogiolo di “razze” e culture, sin dai tempi del mitizzato
grande impero romano, che eleggeva imperatori provenienti da ogni provincia. Invece che cori da
stadio, con il rischio di passare dalle squadre (di calcio) allo squadrismo, bisognerebbe intonare cori
di culture, cercando di conoscere quella degli altri, ma sopratutto tutelando la nostra. Leggendo.
Francesco Nicolosi Fazio