L’alluvione di Catania simbolo del totale degrado nazionale.
Hanno fatto il giro del mondo le immagini del cuore del centro storico di Catania con l’”acqua del cielo” ad altezza d’uomo. Si è subito approfittato per dare la colpa al “consumo del suolo”, mentre si tratta di abbandono del suolo e delle infrastrutture. Basti pensare che il centro storico di Catania ha questa conformazione da ben oltre duecento anni. Il problema è a monte. La città etnea un tempo aveva una protezione naturale alle inondazioni. Una splendida barriera boschiva proteggeva (sino a duecento anni fa!) la città dal vento, ma soprattutto dalle piene, che oggi invece scendono dalla viabilità mal realizzata. Ancora oggi nella toponomastica cittadina sopravvive il ricordo della funzione boschiva: il quartiere di “Barriera del bosco”, che è la porta dell’area pedemontana. Anche l’antico nome di un acquedotto, “Boschetto etneo”, rimarcava la funzione del bosco di querce: intercettare le piogge e alimentare la falda e l’acquedotto.
Da quasi un decennio un progetto per il recupero funzionale ed interdisciplinare del “Bosco etneo” non trova chi lo capisca. Forse il nome de “La via dei boschi” non lo rende apprezzabile, ma basterebbe leggere la relazione per capire la valenza degli interventi previsti, puntuali e diffusi. Il progetto potrebbe essere una risposta seria e concreta ad una serie di problemi, migliorando il “costruendo” Canale di Gronda, ma puntando anche al bisogno di recuperare aree verdi che contribuiscano al miglioramento del clima locale e globale.
Come la gran parte delle cose utili il progetto ha il difetto di risolvere i problemi, mentre c’è chi preferisce crearli, per gestire le emergenze. La triste differenza tra il potere di oggi e quello di duecento anni fa (almeno in Italia) è che a nessuno interessa raggiungere il benessere dei cittadini, a nessuno interessa realizzare ciò che è bene e ciò che è bello.
Francesco Nicolosi Fazio