“Viaggi per rivivere il tuo passato? […] Viaggi per ritrovare il tuo futuro?”
E la risposta di Marco: – L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che ha avuto e non avrà”. (
Le città Invisibili, Italo Calvino)

Là dove il mare tocca, ora il rosso ed il bianco, ora il giallo ed il blu, le nuvole non passano mai di moda ed il vento non riesce minimamente a smuovere il loro dominio. Da un lato, svetta il castello di Gor, dall’altro, solitaria, si staglia la torre di Borg. Il castello di Gor ha una pianta quadrangolare, anche lui ha una torre che sorge al centro, ma a farle compagnia vi sono le mura che un tempo proteggevano quel che si presume fosse stato un villaggio. Guardandolo con occhi da storico o da sognatore, tra le mattonelle dove oggi i passi di una guida turistica scorta un gruppo di curiosi esploratori degli anni 2000, un tempo un contadino trasportava il suo raccolto. Cosa coltivasse è impossibile da dire. Di certo, i suoi occhi vedevano ciò che vedeva la principessa affacciandosi dal castello o che, oggi, vede il gruppo turisti: il mare.

Il mare, infatti, cambia forma quotidianamente: sono i venti e le correnti a deciderne gli umori, ma questo mutamento è tanto transitorio quanto apparente. Per un pesce che dal basso scruta la superfice il mare è sempre uguale, così per gli altri pesci e per chiunque altro viva o riposi in mare. Il contadino, al più, vede qualche ciuffo bianco. Si accorge che il tempo vuole dargli un messaggio. Presto quei ciuffi di schiuma saranno sulla sua testa. Lo stesso pensa il turista, ma anche la guida ed il re che un tempo girò, in lungo e in largo, quei corridoi che sono semplici parti di un tutto chiamato “museo”.

All’interno del castello, le cucine hanno le dispense e le ceste vuote, i turisti di prima adesso sono entrati per visitarle. Un tempo però non era così. Guai a chi fosse entrato senza il consenso dello chef, guai a chi avesse portato in ritardo le materie da preparare in maniera certosina per soddisfare il palato dei suoi regnanti. Tuttavia, se solo uno di quei turisti provasse a chiudere gli occhi ed avvalersi del sesto senso, la memoria, potrebbe percepire gli odori della zucca che sfrigolava sulla padella con aglio ed erbe aromatiche, del pesce che stufava nel suo brodo, dei piatti poggiati su altri piatti dopo esser stati lavati in fretta e furia. Avrebbero potuto persino sentire il garzone definire quel liquido profumato “brodo”, per poi esser seguito dallo chef che lo riprendeva, “si chiama corbulloin!”. Immaginate poi una volta passati dalle segrete. Luoghi che un tempo furono case del dolore e della sofferenza oggi recano con sé, a riprova di quanto accaduto un tempo, solo qualche scritta sui muri. Il turista ha in comune col prigioniero solo l’umidità che può provare camminandovi attraverso.

 

Chi dal mare guarda oltre, chi dall’oltre scruta altrove per trovare terra e poi ancora mare: “osservare o essere osservati?” Pensava forse questo la sentinella che stava di guardia nella torre di Borg? Era difficile rispondere a che punto del giorno fossimo, quando al buio della notte seguiva un cielo denso di nubi, foriero di pioggia e tempesta. Era altrettanto difficile capire quando il giorno sarebbe finalmente iniziato.
La sentinella della torre di Borg ed i prigionieri delle segrete di Bor condividevano parte dello stesso buio. Non si trattava solo di vivere due posizioni per definizione in contrasto tra loro, seppur in giurisdizioni diverse, si trattava di essere alleati nell’eterna lotta tra uomo e buio. Accadeva, infatti, che il meteo rispecchiasse ciò che la sentinella avesse dentro, accadeva che, a volte, il buio che ci si porta dentro inghiottisse le persone, come accadeva con i detenuti oltremare. Era un semplice persona con un elmo ed uno schioppo, una lama alla sua sinistra pronta per esser sfoderata in caso d’emergenza con la destra, però dentro di sé aveva un mondo, era lui la torre del suo castello.

 

Oggi dove la sentinella si arrovellava in un tantra di pensieri, un cittadino del luogo passeggia per le vie limitrofe alla torre in cerca d’un’ispirazione. Impossibile dire se si tratti d’un poeta e d’un pittore. Mentre indossa il suo berretto di lana, si sistema gli occhiali, adesso fa freddo, tra poco nevicherà, ma a lui poco importa: ben coperto, continuerà imperterrito il suo giro. Nella sua testa vorrebbe un fiume in piena d’idea, ma attualmente il letto del corso d’acqua è arido. Cerca di darsi animo ripetendosi nella sua testa la poesia dei doni di Borges. Ne aveva sentito parlare a lezione, aveva letto qualche estratto, così aveva scelto di leggerla tutta. “Ringraziare voglio il divino

labirinto degli effetti e delle cause, per la diversità delle creature, che compongono questo singolare universo” sussurrava sospirando, mentre le cuffie gli portavano all’orecchio le note di una canzone scritta in un dialetto non suo, che per qualche motivo adorava. Si crogiolava in quella carica emozionale che musica e poesia riuscivano a dargli e continuava a ripetere: “per la ragione, che non cesserà di sognare, un qualche disegno del labirinto, per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse, per l’amore, che ci fa vedere gli altri, come li vede la divinità”. Era estasiato da quei versi. Lui avrebbe mai creato qualcosa di pari pathos? La domanda non era affatto di facile risposta. Si trattava di passare alla storia, facendo la storia. Voleva un ruolo attivo, il nostro passante era diverso dalla nostra sentinella, lei si fermava alla domanda, lui alla ricerca della risposta. Eppure, chiunque fosse passato, avrebbe potuto capire lo scopo della sua ricerca, nessuno il mezzo: la pittura o la scrittura? Forse la fotografia? Intanto la torre di Gor restava con le sue porte sbarrate a fendere le nuvole. I primi schizzi di pioggia iniziavano a bagnarne i marciapiedi, prima uno, poi un altro, dopo l’acquazzone. Non stava nevicando. La sentinella sarebbe certamente rientrata nella sua guardiola, il nostro artista, invece, si limitò a ripararsi in un bar.

 

Non appena il tepore del bar lo avvolse, ripensò alla stessa poesia che recitava poc’anzi. “Per lo splendore del fuoco, che nessun essere umano può guardare senza uno stupore antico” e mentre stava per introdurre il prossimo verso la carica emozionale era stata totalmente troncata da una cameriera che gli aveva chiesto cosa volesse da bere. Per un attimo la guardo negli occhi, quell’istante fu eterno. Un’altra domanda era sopraggiunta alla sua testa: “A cosa stai pensando davvero?” Era preda del suo perenne desiderio di scrutare l’animo umano. Così come lui, la sentinella si chiedeva cosa facessero gli abitanti del castello che vedeva dalla sua terra. Vedeva delle piccole luci farsi strada nella notte dalle lontane finestre. Al loro interno circolava la servitù con in mano piatti ben decorati e caraffe di birra. Le fornaci della cucina stavano cessando d’ardere, la cena doveva soltanto arrivare in tavola. Dove ora un turista si scattava un selfie con una finta platesse ed un coltello di plastica, lo chef si era finalmente potuto riposare. Le visite al museo intanto volgevano al termine. Era ora di pranzo. Altri sarebbero entrati dopo nel patio del castello di Gor, avrebbero beneficiato della sua ombra ed avrebbero certamente immaginato altro. Là dove qualcuno ci aveva visto un contadino, un altro avrebbe visto un guerriero allenarsi nell’arte della spada. Altri sarebbero arrivati al punto di non vedere manco il castello. Era facile smontare il passato con la semplice immaginazione, era ancora più facile immaginare che vicino al mare potesse sorgere di tutto, non solo un castello, anche una semplice casa di pescatori. Ciò che era stato non era altro che il frutto dell’elucubrazione di sarebbe arrivato.

 

Dall’altro lato delle onde, mentre un traghetto tagliava quel lembo di mare, la torre adesso era totalmente bagnata d’acqua. Altri vi passavano di fianco, chi semplicemente per far passeggiare il cane, chi per fare per jogging. Pochi si ponevano il problema di chi l’avesse sorvegliata secoli prima e di cosa avesse accompagnato le sue notti, oltre allo scrosciare della pioggia ed al soffiare del vento. “Il rumore delle onde!” si potrebbe rispondere, ma sarebbe una risposta ovvia. C’era stato dell’altro, ma nessun poteva saperlo.

 

“Per Whitman e Francesco d’Assisi, che scrissero già questa poesia, per il fatto che questa poesia è inesauribile e si confonde con la somma delle creature e non arriverà mai all’ultimo verso e cambia secondo gli uomini”, mentre finalmente finiva di recitare la sua poesia e ritrovare l’ispirazione, dalle nuvole spuntava un pallido sole. Il giovane s’illudeva che quella luce avrebbe potuto illuminarlo abbastanza per ispirarlo nuovamente e completare la sua opera, la sentinella avrebbe saputo ch’era solo un’illusione fallace, fatale bellezza destinata ad esser nuovamente inghiottita dalle nubi. Così accadeva a chi per un attimo si prendeva il lusso di smettere di scrutare, altrove o dentro di sé non importava, bastava girarsi per restare inghiottiti, basta illudersi per restare delusi.

Francesco Raguni