Non metto nel conto i tuoi novant’anni, caro Guido, nel comporre questo saluto. Medito sul significato della tua dipartita nella stagione in cui crollano i ponti.

     Si sente ripetere che i Poeti non muoiono. E nemmeno i Maestri. E tu sei stato l’uno e l’altro, lungo tutti gli anni della tua laboriosa vita di poeta, giornalista, commediografo, pensatore, amico degli umili. Intellettuale concertista di sublimi ironie.

    Vorrei attingere ai tanti ricordi delle tue ironie, proprio in questo momento del nodo che mi stringe la gola. E ricorro, infatti, a un motivo che mi sembra appropriato per la sua singolarità, quello dei tuoi scarponi da montagna. Le calzature blindate, così adatte a esorcizzare occasioni salottiere del falso bon ton, denominatore di un genere di società che non hai amato né privilegiato.

    Forse è l’occasione degli scarponi da contadino una pezzuola rossa adatta  a questo malinconico saluto. Non erano scarponi, i tuoi, per esibire il “cervello fino”. Tu, da grande intellettuale, non amavi le esibizioni, ma eri guardingo, eri consapevole delle insidie che nascondono i percorsi, specialmente quelli in salita, riservati ai grandi ingegni. E per questo preferivi calzare scarponi. Forse non avevi pensato alle orme  profonde, necessariamente diverse, che lasciavano i tuoi passi, a pendant dei tuoi scritti, poesie, commedie, pensiero di scalatore di irte montagne in compagnia della tua genialità e del tuo sterminato sapere, beni preziosi che non potevano incedere adeguatamente su morbidi mocassini o raffinate calzature comuni.

     Addio, Guido! Nella mia biblioteca ci sono diverse impronte indelebili impresse dagli scarponi di montagna che ti furono cari. E con esse il caro ricordo di un Amico e Maestro.

mariograsso