Il vescovo di Acireale nel ’64 si chiamava Pasquale Bacile, era nato a Bisacquino e scelse come suo  stemma, o arma parlante, una fontana a due vasche e il motto “ad fontes aquarum”: tutto, dal suo nome al suo motto, perfino nello stemma e nel nome  del suo paese allude all’eterno bisogno, ma più, alla voluttà di dissetarsi, di lavarsi, di rinfrescarsi, immaginando che tutto avvenga in acque limpide, fredde, profondamente bevibili.

Questo ricordo, che si confonde in me con la lettura, in quegli anni, di “Malaria” di Verga, per arrivare a “Calura” dei Racconti verdi  della fine degli anni ’40  di Vito Finocchiaro, ha un primo epilogo nel 1989, quando, in un articolo di architettura moraleggiante, protetto dalle spesse mura della mia casa settecentesca di allora ad Aci, fuori un caldo infernale, notavo che i profumi, i colori, le oasi di fresco noi mediterranei li assumevamo (prima) in forti dosi, ma senza sprecarne, riuscendo  a fottere l’arsura e il sole impazzito, nascondendo gelosamente i vini, gli olii, i cereali in  veri e propri sancta sanctorum; sotterrandoci come talpe abbiamo potuto studiare matematica e astronomia senza farci glassare il cervello dal sole; abbiamo protetto i nostri animali  destinandogli le grotte migliori, siamo stati attenti ad aprire le nostre case a tramontana…mentre rimarcavo che oggi  abbiamo fatto la pazzia di trasformare le cisterne d’acqua in fosse biologiche o riempirle di pietre e sigillarle…

Tutto questo per dirvi che ai primi di giugno di quest’anno ho chiesto al direttore di un prestigioso quotidiano di poter lanciare dal giornale un appello per un vero piano per l’acqua, per contrastare quella che si configura ormai come una tragedia. Il direttore non mi ha dato retta, ma io ho continuato, puntualmente, a mandargli un mio bollettino,  non per celia ma un po’ per non morir, e qui ne faccio una rassegna veloce:

-il 18 luglio gli mando una noterella: non sapendo che fare, nel lago Fanaco metteranno una zattera al centro per raccogliere l’ultima acqua rimasta. Siamo al picaresco!

-lo stesso giorno gli dico che i comuni di Mascali e Fiumefreddo protestano perché Messina gli sottrae trecento litri d’acqua al secondo prelevando direttamente dal Fiumefreddo, con timori di scontro fisico con gli addetti di una ditta privata

-il 22 luglio gli annoto che (altra proposta picaresca) i pesci del lago del Dirillo verrebbero spostati al Biviere di Lentini per recuperare tutta l’acqua possibile

-il 25 luglio gli commento il presunto, fantastico  ritrovamento, annunciato al Tg3Regione, di miliardi di metri cubi d’acqua sotto gli Iblei, mentre il  ministro Musumeci non avvia neanche  la manovra, perdente, del dissalatore, né un inizio di dragaggio dei laghi per liberarli della terra accumulatasi nei decenni

-il 26 luglio annoto che un cittadino ultraottantenne di Messina dice in televisione che non si era mai vista una emergenza idrica come questa

-il 30 luglio gli riferisco che è stata praticata in una certa località  una foratura di ben  cento metri nel terreno per estrarre quattro litri d’acqua/sec….

-il 3 agosto gli ricordo che, come avevo  vaticinato, ad Agrigento c’è stata una manifestazione  di duemila persone esasperate per la mancanza d’acqua, diverse delle quali piangevano. Gli rimarco che la mia proposta è di “olandesizzare” il problema, cioè trasformare con leggi e atti e con la mobilitazione da parte di Comuni e Regione, il territorio in un ‘parenchima’ distributivo e conservativo, senza più iniziative “picaresche”, pena la perdizione della società siciliana. Spero, aggiungo, che non ne faccia una questione di autorità costituita quando chiedo di poter intervenire come esperto sul giornale, col giusto spazio nella prima pagina

–il 5 agosto scrivo che a Messina, la terza città di Sicilia, celebrata da Boccaccio e da Schiller, circondata dal più grande polmone verde della regione, sono stati decisi i turni di razionamento dell’acqua. Incapaci di conservare l’acqua per i momenti di  crisi…

-10 agosto: il capo della Protezione civile nazionale si chiama Ciciliano (nomen, omen) e non dice una parola su come bisogna organizzarsi per il futuro prossimo, mentre  alcuni agricoltori  lavorano con escavatrici a loro spese per  rifare il letto a un laghetto, probabilmente senza avere perfette cognizioni  tecniche

-il 14 agosto annoto che il responsabile siciliano di Protezione civile, ing. Salvatore Cocina, a un’assemblea di sindaci esasperati riuniti a Agrigento, blandisce: “trovate nuovi pozzi, ce lo comunicate e noi veniamo a attivarli… Definisco quello di Cocina “delirium putei”.

Infine, ma non l’ho scritto al direttore, l’ing. Cocina parlava il 23 agosto in televisione di mala gestione, dimenticando che dal 2020 è responsabile del Dipartimento acqua e rifiuti della Regione, e, dal gennaio 2023, della  Protezione civile regionale. Quis custodiit custodes?

In Sicilia c’è un bacino di raccolta attualmente di un miliardo di metri cubi d’acqua. Disponibili oggi, solo 90 milioni, meno di un decimo. In questi ultimi giorni le istituzioni lanciano disordinatamente la parola d’ordine di “trovare” e perforare nuovi pozzi, come se le falde acquifere fossero indifferenti al prelievo fin qui attuato senza criterio.

Ho scoperto parecchio tempo fa – e ne ho anche scritto e parlato in televisione – che nel regolamento edilizio di Giarre è fatto obbligo (ma non viene rispettato nè dimensionato) di costruire vasche di raccolta in ogni condominio. La norma dovrebbe essere resa obbligatoria  in tutti i Comuni, che dovrebbero altresì, da subito, impegnarsi a costruire in aree urbane prescelte, enormi contenitori per l’acqua piovana, come Giustiniano fece un millennio e mezzo fa a Istanbul. Tra pubblico e privato, dovrebbe esserci, per ogni cittadino, compresi i bambini, una disponibilità, in vasche, di quaranta metri cubi, a prescindere dal bacino lacuale.

Nella foto: Particolare di cisterna da 500 metri cubi nelle fondazioni di un palazzo inizi ‘900 ad Acireale