ALESSANDRO MANZONI … LUIGI NATOLI & C.
(OVVERO QUANDO GLI “ISPETTORI” DETTANO CLASSIFICHE)
Il rischio della scarsa autorità di chi ha firmato saggi sulla storia della letteratura italiana del Novecento capita di poterlo trovare specchiato in qualche estemporaneo giudizio proveniente dall’estero. L’estero ha sempre un suo fascino che deve essere capito, quindi giustificato, che non vuol dire accettato in pieno, come spesso capita. Un esempio potrebbe essere quello citato da Gabriello Montemagno nel suo libro Luigi Natoli e i Beati Paoli (S.F. Flaccovio. Palerm, 2002). Montemagno noto critico letterario militante e giornalista, riporta il commento del Le Monde a proposito della storia della letteratura italiana. Il prestigioso organo di stampa dei cugini francesi, non aveva esitato a fornire una classifica sul valore delle opere di narrativa apparse in Italia lungo i due secoli Otto e Novecento, espungendo i cinque da ritenere degni di rappresentare il resto: I promessi sposi di Alessandro Manzoni, I Viceré di Federico De Roberto, I Beati Paoli di Luigi Natoli, La Storia, di Elsa Morante e Il nome della rosa di Umberto Eco. Un esempio squillante di metodo di decapitazione generale, che il buon Montemagno non esita ad avallare e condividere con compiacimento. È una condivisione che, con tutto il rispetto per Gabriello Montemagno e la sua carriera di impeccabile critico, somiglia alla dimostrazione di quanto possa pesare un giudizio quando viene pronunciato da un “ispettore”. L’ispettore è sempre pronto a uscire e far pesare il proprio verdetto. Che resterà inappellabile proprio perché proveniente dall’ispettore. Merito di Gogol l’avere spiegato a tutti la funzione dell’ispettore. Ed è sempre una risorsa umana quella di poterne fruire in qualsiasi occasione. Né Qui si voglion togliere merito a Le Monde ai suoi redattori di venti anni fa, dotti e informatissimi, specialmente dei casi letterari dei loro cugini d’Oltralpe. I meriti, per il caso già remoto appena citato ci sono e abbondanti: uno è quello di avere tirato fuori dalla valle dell’oblio I Beati Paoli, l’altro quello di avere confermato che Vittorini aveva ragione quando continuava a respingere la proposta di far pubblicare il Gattopardo. Per il resto nulla da eccepire, né per il capolavoro di Elsa Morante né per quello di Umberto Eco.
Chiederei solo agli illustri cugini de Le Monde di quella volta perché tra i romanzi scelti non hanno tenuto conto di uno dei due (I Malavoglia / Mastro don Gesualdo) di Giovanni Verga e di Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo. Chiederei per non sentirmi rispondere che la matrice della “sparata selettiva” era stata un poco (o tutta) l’opinione, il punto di vista di qualche “autorevole” cugino del Bel Paese. Il che se così fosse stato ci si troverebbe a cospetto d’u ispettore arrivato con la sentenza in tasca scritta da chi si destinava a essere ispezionato. E questo perché? Perché viene fuori la manfrina dei confronti che spesso da noi scarseggiano o mancano del tutto e forse perché la decadenza ha i suoi momenti epocali non solo in quanto voce che ha definito una stagione pregressa, ma perché la ruota gira e arriva il momento del punto più basso di essa. Ma è anche più verosimile sospettare che manchi in Italia una autorevole informazione scientifica analitico-critica sotto forma di storia della letteratura, cioè un punto dove trovare approssimazioni motivate e non estemporanei resoconto di pregiudizi o emozioni.
Certo può creare difficoltà a qualsiasi giornalista non siciliano dovere ammettere che a datare dall’Unità d’Italia in poi è la Sicilia che continua a mantenere un primato poco discutibile nella storia della letteratura italiana. Ignoriamo pure Verga, Pirandello, D’Arrigo al momento di scegliere i cinque romanzieri italiani da salvare, ignoriamoli per necessita di rappresentare e di rappresentanze, infatti sarebbe stato obbrobrioso lasciare Manzoni soletto e arrivare a cinque proponendo oltre a, De Roberto e Natoli, le piramidali presenze di Verga, Pirandello e D’Arrigo. Per sanatoria si sarebbe potuto aprire il ventaglio fino a sette, numero, delle stelle dell’Orsa maggiore e delle corde della chitarra del canzonettista. O fermarsi a otto numero che graficamente s’impone per la sua figuralità di anello di congiunzione tra la terra e il cielo. Ma le cose sono andate come sono andate e poiché l’ispettore ha scritto e divulgato la propria sentenza non resta che prenderne atto.
Sono trascorsi venti e più anni dalla “proclamazione” che abbiamo citato, probabilmente non cambierebbero di opinione le autorità dell’autorevole Le Monde sulla storia della letteratura italiana in generale e su quella degli autori siciliani che ne costituiscono qualche vanto. Infatti la Letteratura ha dominio anche sui poeti e Quasimodo, premio Nobel per la letteratura, era siciliano come Pirandello. Un discorso che ci tenta a proporre di ammettere la gaffe ricorrente di giornalisti e spesso anche di addetti quando definiscono “letteratura siciliana” la letteratura italiana di autori siciliani, trascurando l’ovvio della lingua di comunicazione nazionale che è una sola e che la letteratura altro non è che la lingua e le sue evoluzioni. Peccati di carta, ci si dirà e proprio perché tali potrebbero essere persino di superbia, di subliminale consapevolezza e di orgoglio.
Ma per altro verso abbiamo riconosciuto meriti alla segnalazione di Le Monde che informava sul bilancio del Secolo breve. Articolo datato ma con qualche verità resistente all’usura del tempo; dicevamo dei Beati Paoli di Luigi Natoli e delle conferme per la esclusione del Gattopardo di Giuseppe Tomasi, dal momento che c’era stato, mezzo e passa secolo prima, il romanzo I Viceré di Federico De Roberto. E tutto questo non certamente a ciglio asciutto a fronte della decapitazione di Verga e D’Arrigo. O ciglio asciutto da parte dell’estensore di questa divagazione a passi perduti che non si rassegnerebbe per l’esclusione di Pirandello, e di una quaterna di romanzieri tra Antonio Aniante (il meno provinciale tra Brancati, Patti) il ripescaggio di Mio padre Adamo di Fortunato Pasqualino e di Angelo Fiore, autore di L’erede del beato e di un certo Leonardo Sciascia autore de Il Consiglio d’Egitto.
Un discorso da cui viene lasciata fuori la poesia e almeno e tre nomi eccellenti di poeti: Bartolo Cattafi, Lucio Piccolo e Salvatore Quasimodo. Altra occasione per ricordare Angelo Maria Ripellino la cui chiara fama di slavista ha oscurato non poco i meriti del poeta.
E le donne della narrativa siciliana tra Otto e Novecento? Fosse solo per un rispetto alle “Pari opportunità” avendo citato Patti, Brancati, Aniante, Pasqualino e Sciascia allargando il campo che ci ha fatto partire con i cinque di Le Monde e di Montemagno e che abbiamo cercato di ammettere dal nostro piccolo osservatorio altri da non dover tralasciare, azzarderemmo da Maria Messina a Maria Occhipinti e fino a Goliarda Sapienza, a costo di trascurare Lidia de Stefani per restare nei confini del Novecento, consapevoli di una presenza femminile già insistente ed emergente in questi primi due decenni del Duemila. Ma ne riparleremo.
Mario Grasso