Ho preso il diploma classico nel 2011, in un contesto scolastico in cui, analizzato ogni meandro dei Promessi Sposi – ma anche di Senilità, per carità – ce ne si allontana cronologicamente ben poco. La corsa per i “programmi” da ultimare, ma anche la diatriba tra qualità e quantità. L’inerzia e la forza bruta per trascinare alla Sufficienza chi proprio della Letteratura se ne sta infischiando, forse quanto gli stessi docenti (senza generalizzazioni di certo). Ma la verità è che degli autori moderni e contemporanei sappiamo ben poco, ancor meno, purtroppo, sui nostri corregionali che molto potrebbero dirci su chi siamo noi, questi siciliani che sono dipinti in mille modi ma noi non saremmo in grado di farne un quadro più realistico.
Poi c’è chi è stato più fortunato, chi magari ha intrapreso un percorso accademico legato al mondo della Letteratura, e allora ha scoperto l’immensità al di là dell’orizzonte scolastico. Eppur se ne lamenta. Chi, poi, ha intrapreso altre strade, fiumi che sboccano su altri mari professionali, si è fermato a quanto sui banchi va sempre più riducendosi all’osso, smagrendosi con il procedere delle generazioni, mentre l’oggetto del dimagrimento cresce in maniera esponenziale, in una proporzione inversa. Cosa sta accadendo?
Posso dire quanto accade dopo: chi sceglie di non abbandonare il mondo da cui è uscito, agganciandone il vagone al nuovo treno, si trova a fare i conti con un treno smontato, lacunoso, costretto a raccattare durante il viaggio – lungo e trasversale – i vagoni mancanti.
Chi, frequentato un Liceo, può asserire di aver letto Horcynus Orca? O Il deserto dei Tartari? Chi ha letto Lezioni americane?
Va bene confidare nella “formazione permanente”, ma con quali strumenti? Queste saranno domande noiose e inutili per chiunque, ma non per chi si occupa di letteratura e sogna di tenerla in vita, seppur nel proprio piccolo. Per costoro la Letteratura non è un qualcosa che si legge o che si scrive, ma si vive. Si vive più o meno come una gita, un po’ all’avventura.
E’ così che ho vissuto la sorpresa di Lucio Piccolo. E chi diavolo sarebbe Lucio Piccolo!? Come faccio a non sapere chi è Lucio Piccolo? Perchè dovrei saperlo? Cos’ha fatto? Quando è vissuto? Va bene, meglio non fare più domande, sono bestemmie per chi invece sa.
I superstiti che hanno avuto l’onore di conoscerlo lo dipingono con colori che ti scaldano e ti fanno sentire tutta la leggerezza della senenità che doveva popolare il suo mondo interiore. Io l’ho incontrato per la prima volta tra le pagine di Le zie di Leonardo (in cui Gonzalo Alvarez Garcìa dipinge i Siciliani in modo così disincantato e profondamente vero da metterci in imbarazzo perchè non siamo stati noi, bensì uno spagnolo spuntato all’improvviso, a pensarci per primi). Leggo: “Si avvicinava in punta di piedi, a passettini piccoli e veloci. Non saprei dire quanto era alto o basso. Non si poteva fare attenzione alla sua statura fisica. Non era un barone all’antica. Sembrava una stampa liberty o una timida fanciulla intenta a cogliere margherite nei prati”. Tralasciando il fatto che questa descrizione mi ha fatto morire dal ridere, questo è Lucio Piccolo per Alvarez Garcìa, che – lui – lo ha conosciuto!
Si è poi verificata una contingenza che mi ha portato ad essere ospite a Capo d’Orlando, dove Piccolo viveva e operava, e, nonostante la pioggia e il giorno festivo, la moglie dell’artista nostro corregionale Torres la Torre mi ha riservato la gentilezza di accompagnarmi a visitare la Tenuta dei baroni Piccolo, un mondo incantato. Le guide turistiche mancavano, così la signora stessa ha preso le redini e, fornite di sacchetti di plastica e ombrello, non ci siamo tirate indietro dinnanzi al cattivo tempo.
Non è vero che per capire un’opera non occorre sapere delle note biografiche di un Autore. L’opera è il riflesso dell’uomo che può celarvisi dietro oppure può mescolarvisi all’interno. Uomo e Opera sono inscindibili. Mi è stato raccontato della sua passione per la letteratura, per la filosofia, per la musica e specialmente per la poesia, di come riuscì a “far colpo” su Eugenio Montale che in quell’occasione si “sprecò” definendolo sin da subito un Poeta e promuovendo i suoi Canti barocchi. Allora pagò pure il postino per la ricezione del manoscritto (comprenderà chi conosceva il Montale-uomo)! Era un letterato, ancor prima che la sua fama lo definisse tale, così come conobbe gli scritti dei grandi Autori stranieri prima che essi facessero il loro ingresso ufficiale in Italia. Probabilmente oggi sarebbe stato definito da molti “artista” non nell’accezione che ne voglia elogiare l’estro creativo e fuori dagli schemi, ma in quella di chi quegli schemi li vuole sempre ben rispettati e al di là dei quali vede solo follia e ciarlataneria. Il fatto è quando dico oggi mi trovo di fronte ad una stranezza cronologica, perchè sebbene collochiamo Piccolo nel settore denominato “Ieri” non è abbastanza ieri per essere studiato oggi, allora forse è più “Oggi” di quanto non si pensi.
Perchè ciarlataneria? Come definirebbero molti coloro che fanno oggetto del proprio studio, per una vita, le conoscenze esoteriche? Eppure c’è molta confusione, proprio come per le cose che non si conoscono realmente, e per lo stesso motivo è molto facile, all’opposto, farsi prendere in giro da chi ciarlatano lo è davvero. C’è chi dice, e forse non a torto, che oggi l’Autore è snobbato dalla critica ufficiale, è clandestino. Ma non lo è stato e non lo è per tutti e forse ancora per poco lo sarà per i molti.
Penso che per capire le poesie di Lucio non siano un optional le pitture del fratello Casimiro così come l’abitazione che dava un involucro se non una scintilla ai loro pensieri, alle loro idee, osservandole prendere vita. Così torniamo alla Villa Piccolo, a quell’immensa tenuta che aveva vita propria, così come tutto ciò contenga vita – che sia animale (quindi anche umana), vegetale o minerale. Quello che può sembrare magia in realtà è solo vita, quella parte di vita che non riusciamo più a vedere, presi come siamo dal fanatismo del tempo che scorre tra un clacson di macchina e un formalismo a cui adempiere, vita che non può essere rivelata ma scoperta, che non può essere spiegata ma sentita. La si può sentire solo se si accetta di essere una piccola parte di un immenso meccanismo che ha un’intelligenza che non ti apparterrà mai: la Natura. E’ la Natura, anche umana, per cui i baroni Piccolo avevano rispetto, e in questo rispetto impostavano il loro stile di vita in cui non posso che vedere armonia. «I giorni della luce fragile, i giorni / che restarono presi ad uno scrollo / fresco di rami… / oh non li richiamare, non li muovere, / anche il soffio più timido è violenza / che li frastorna… » sono le parole di Lucio, come anche queste: “Muove la girandola d’ombre: / sulla soglia, in alto, ogni dove / vacuo vano, andito grande tende a forme, / sguardo che muove le prende, / sguardo che ferma le annulla”.
Certamente l’agiatezza economica ha avuto un gran ruolo, nel consentirgli di dedicarsi a questa missione, ma non è un dato per scontato. Per questo la pioggia non era un problema, quel giorno in cui ho avuto la possibilità di vedere per la prima volta il Mondo oggi amministrato dalla Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella. Anzi: proprio il tempo aveva fatto sì che la villa fosse a nostra totale disposizione: silenzio, solo lo scrosciare della pioggia che non aveva nessuna intenzione di farci del male, le foglie che saltellavano di qua e di là al suo tamburellare, la voce di una signora gentile che ama la sua terra, la sensazione di non essere sole ma osservate da tutte le parte, forse dai folletti e dalle fate, o dalle anime dei cani e dei gatti che i Piccolo amavano e che sono ancora là, sepolti in un piccolo cimitero degli animali in cui ognuno ha un suo posto, con il proprio nome e il proprio vasetto di fiori, a vegliare con la stessa lealtà mostrata in vita. Vita che forse non si è mai interrotta ma si è solo trasformata in qualcos’altro. Camminare tra quei sentieri dà proprio questa sensazione, che la morte non sia un taglio di forbici, una ghigliottina, ma una trasformazione, come quelle degli alchimisti che separano i composti per ottenere gli elementi che li compongono per poi riunirli in nuove forme. Ma non ci si sente minacciati. Al contrario: vegliati, protetti, accompagnati lungo la gita. Goccia dopo goccia, l’aria fresca sulla pelle, le spalle un po’ curve per l’abbigliamento troppo leggero, il mio sguardo vagava cercando di scrutare sempre più in lontananza. Chissà cosa pensava Lucio Piccolo durante le sue passeggiate? Chissà come si godeva, beato lui, il canticchiare degli uccellini o il calore del sole sul viso!
Ho scattato qualche foto, la luce non era buona per via del cielo troppo grigio. Il riverbero. Ma non importa: resterà a me il ricordo delle sensazioni che quelle immagini mi rievocheranno, anch’esse troppo parziali per poter cogliere la totalità. Ma ho ripreso il mare, quella distesa allora grigiastra che si poteva ammirare da un qualsiasi punto, data l’altura. Addirittura, nascoste dietro strati e strati di brina e pulviscolo, le Isole Eolie. La villa infatti si trova proprio in cima, arrampicata sulla collina messinese, e si affaccia a dominare Capo d’Orlando, a cogliere la sua interezza così come la compenetrazione  con la Natura, al suo interno, consente all’uomo di percepire la propria interezza. Pale di fico e vortici nebulosi, terracotta e pietra lavica, poi strane piante mai viste prima d’ora. Sì, perchè venni a sapere pure che la sorella di Lucio e Casimiro, Agata Giovanna, era una studiosa di botanica e quale miglior laboratorio dei suoi giardini!? Mi sono trovata al cospetto di piante che mi rimandavano agli arcipelaghi dei Tropici, eppure crescono robuste da quasi un secolo sui nostri terreni. Alcune sono buffe, tra le vasche di ninfee, ma tutte sono accomunate da un’aura di magia che dà la sensazione di essersi smarriti ed essere entrati per sbaglio dalla porticina che dà sul regno delle fate e dei folletti, quelli che probabilmente ci osservavano da dietro i cespugli, quelli che dipingeva Casimiro, quelli che Lucio accarezzava con le parole e quelli di cui forse Agata si prendeva cura crescendone la dimora.
Mi sarebbe piaciuto vivere in una casa del genere, lontana dai frastuoni, vicina a tanta vegetazione, con a portata di mano carta e penna per poter dar forma alla mia mente, nel silenzio, nella solitudine che è presupposto per un reale incontro e per una reale comunicazione. Vincenzo Consolo scriveva in Il barone magico: “La casa era quieta, il resto del mondo lontanissimo. Fu così che mi resi conto come per villa Piccolo passasse un meridiano come a Greenwich, il meridiano della solitudine “. C’è chi si chiede “che rapporto c’è tra il silenzio e la parola? Chi è stato per primo?” (Anna Maria Giarratana, Una nave, una bottiglia, una zattera), c’è chi non si pone la domanda perchè non ne sente l’esigenza, trovandone così vicina la risposta.
Così, mentre sognavo di risvegliarmi nell’accogliente stanza di una casa nobiliare in un piccolo Paradiso Terrestre, tra scaffali colmi di libri, il grigiore ha ceduto il passo all’azzurro del cielo e, giusto quando dovevamo andar via, è tornato il sereno. Zuppe dalla testa ai piedi, sorridenti, anche i nostri visi adesso erano riscaldati dai raggi del sole. Forse quel posto voleva ringraziarci per averlo apprezzato in tutte le sue forme, anche in quel modo, anche sotto la pioggia. I Piccolo sarebbero stati d’accordo, contro la polarità che ci divide tra bello e cattivo tempo, come tra il tempo stesso e l’eterno.  (Giulia Sottile)