Stavo per intitolare “Tempi di barbe” ma ho pensato che il plurale di questa voce cara e importante tende a rinviare al linguaggio botanico che definisce tipiche radici di alcune piante. Pelo nell’uovo della filologia. Ma proprio il pelo in quanto componente imprescindibile e unico della barba, ha finito per convincermi per il singolare. I lettori delle mie divagazioni in Ebdomadario sono abituati alle mie stravaganze e ne approfitto per chiedere loro se per caso abbiano notato che da qualche anno a questa parte la moda di farsi crescere la barba è tornata d’attualità con prepotenza. E dico moda per dire che trattandosi di scelta estetica personale sull’uso di una disponibilità naturale, il farsi crescere l’onor del mento, come usava definire in tenore ottocentesco il presentarsi con una maschera di peli tra guance e mento, potrebbe celare un messaggio. Ed ecco il condizionale stimolare curiosità maggiore. Potrebbe celare o cela tout court? La seconda ipotesi potrebbe essere quella più vicina alla verità, perché trattandosi di un fenomeno di forte diffusione, qualcosa sotto preme. Che sia una sottomarca del pecoreccio, del genere che vuole il popolo un mostro senza testa in attesa del primo che passando gliela presta, lo escluderei. A parte il peso dell’offesa insita sia nella voce che tira in causa le pecore del come l’una fa le altre fanno, sia e ancor più greve nella raffigurazione del popolo senza testa che, nel caso che ci occupa, aspetta chi gli presta una testa con volto barbuto. Scartiamo l’ipotesi perché il fior di barba che adorna i volti di personalità del mondo dell’arte e della politica, specialmente di quella governativa di certi ministri così compresi nella propria sicurezza, da suscitare persino invidie in noi comuni mortali restii al potere esibire onor del mento. Resta la diagnosi un poco vecchiotta e lacaniana della insicurezza. Ma si rischia di cadere dalla padella con le pecore e del mostro senza testa nella brace dell’inconveniente. E l’esempio è subito servito tornando a citare le barbe illustri di ministri, sottosegretari nonché alti funzionari delle nobili anche burocratiche nazionali per tacere dei gradi elemosinieri di Stato. Resta il ricorso alla fantasia. Anzi all’immaginazione con alzata d’ingegno finale e appigliarsi alla filosofia popolare dei detti come voce di popolo = voce di Dio. E la voce di popolo ricorre all’esempio della barba per dire figuralmente di una noia dalle vele dispiegate. Tanti ricorderanno il pistolotto della Mondaini “Che barba che noia”. E infatti basterà far caso alla voce barboso!

2 – La posta non vale la candela, ma poiché siamo in regime di libertà (a eccezione dei porti) uno potrebbe insinuare che tra maschera per quanti, specialmente quelli in affari e politica, nella razionale consapevolezza di dover “mettere la faccia” evitano di adoperare il rasoio e lasciano che una densa peluria possa fungere da maschera, da “facciale”. E aggiungere come sostegno complementare della ipotesi che i più, quelli meno ingolfati tra premure elettorali e altre necessità indispensabili all’erudizione del pupo, facciano ricorso alla barba per quel senso di duolo della vita che comprende le aure proprie della noia, del crearsi un diversivo come teorema di fine adolescenza, per un verso, e di manifestazione tra la pigrizia e la rassegnazione. Infatti se un’ipotesi c’è da escludere questa riguarda lo spirito di contestazione. Insomma, cari lettori di Ebdomadario sono tempi barbosi. Le difficoltà non si contano e le soddisfazioni scarseggiano fino a indurre le sensibilità di una eletta maggioranza che non è solo politica a ricorrere a un fai da te confortante e per qualche aspetto anche autogratificante come per il gioco solitario. Negli anni tra l’adolescenza e il passaggio all’età adulta si sa che tanti chiedono al proprio barbiere una “passata di rasoio” per propiziare la crescita della barba. Una aspirazione della vigila della vita, quando ci si è stancati di attendere l’arrivo del dì di festa leopardiano. E poi l’autorità che dimostra un viso d’uomo con tanto di barba.

3 – Concludiamo con un colpo di coda: la sapienza popolare siciliana insiste con un proverbio ferocemente definitorio dell’indole propria di chi non può mostrare una vera barba fitta e folta e ammonisce: “Dio ci guardi da donne barbute e da uomini glabri.” La parte feroce riferita alle donne barbute è stata posta sotto tutela da altro proverbio inequivocabile. “Donna pelosa donna virtuosa”. E pare sia verità. Ma per l’ammonizione verso gli uomini portatori di barba imperfetta non c’è stata sentenza d’appello. Restano pericolosi per definizione.  Che sia questa la ragione di tante barbe nei nostri giorni? Cioè una dimostrazione fulminante di essere barbuti. Anche per questa volta ci sarà una legione di scontenti, quella degli uomini glabri. Non c’è verso di trovare una soluzione che accontenti e soddisfi tutti. Pazienza, tanto il pelo è pelo e non bisogna cercarlo nell’uovo, stante la messe di barbuti di cui attualmente si dispone.

mariograsso